Libia: la rabbia degli ebrei cacciati, discriminati e mai risarciti

Libia: la rabbia degli ebrei cacciati, discriminati e mai risarciti

di Michael Sfaradi

Sale lo sdegno fra gli appartenenti alla comunità libica di religione ebraica dopo l’accordo fra il governo italiano e quello libico. Accordo che non prevede alcun risarcimento per chi, allora, si vide portar via tutto ciò che possedeva e si ritrovò sul lastrico. Dobbiamo ricordare che, insieme agli italiani che vivevano in Libia, tutti gli ebrei libici, dopo la confisca dei beni mobili ed immobili, furono cacciati dalle loro case ed espulsi dalla nazione all’indomani del colpo di Stato che portò il colonnello Gheddafi al potere. E’ doloroso chiedere il parere a chi, per il solo fatto di essere ebreo subì un crimine contro l’umanità e che dopo essere stato ridotto alla fame conobbe i campi di raccolta prima dell’espulsione.

Ma noi lo abbiamo fatto ed abbiamo constatato che oltre al dolore mai sopito per ciò che accadde, c’è la certezza di essere stati traditi ancora, questa volta dal governo italiano. Non traditi da un governo qualsiasi ma da quello che hanno votato (dopo tanti anni di residenza in Italia la quasi totalità degli ebrei libici ha assunto la cittadinanza italiana), dal leader che si era sempre dimostrato amico di Israele ed attento alle ragioni degli ebrei di tutto il mondo.

La frase ricorrente è: ma Berlusconi, che si mette d’accordo per 5 miliardi di dollari di risarcimento coloniale, non poteva mettere nelle trattative anche ciò che fu tolto a noi con la forza? Visto che il governo italiano si prende le sue colpe, perché non mettere, una volta tanto, un leader arabo davanti alle sue responsabilità e chiedere giustizia? Nessuno restituirà mai a queste persone l’esistenza che poteva essere e che, invece, non sarà mai, ma visto che Gheddafi è stato così bravo a chiedere i danni, arrivando anche al subdolo ricatto del dare il via libera ad un’immigrazione di massa di clandestini se le sue richieste non fossero state soddisfatte, dovrebbe anche essere in grado di capire che diritti e doveri corrono di pari passo. E’ stata una resa senza condizioni, questo è il commento degli ebrei libici nel momento in cui vedono svanire l’ultima speranza di avere giustizia. Conoscono bene la mentalità della loro terra d’origine e sanno meglio di ogni altro che questo accordo verrà proprio inteso come una vittoria, l’Italia si è arresa perché sente sulla sua testa la spada di Damocle del terrorismo finanziato dalla Libia.

Si è arresa perché continuerà il sequestro dei pescherecci in acque internazionali come continueranno gli sbarchi dei clandestini sulle coste italiane. Si è arresa perché quello che Silvio Berlusconi ha firmato sotto la tenda del Colonnello è una cambiale senza scadenza e perché prima di quanto crediamo il governo italiano si troverà a ridiscutere il prezzo e a rimettere mano al portafoglio.

Concludiamo quest’articolo con le ultime frasi della lettera aperta che Herbert Pagani scrisse a Gheddafi nel 1987: “Con l’amore inspiegabile, quasi perverso degli ebrei per le terre matrigne che li hanno adottati, avresti potuto fabbricare ali ai tuoi re, ai tuoi eroi, ai tuoi santi e martiri per mandarli a dire al mondo che il tuo Paese esiste. Avrebbero potuto cantarlo, il tuo deserto, con parole che avrebbero fatto cadere i petali di questa ‘rosa delle sabbie’ che hai al posto del cuore. Ma Allah, che è grande e vede lontano, ha voluto, per tua mano, farci partire, affinché io andassi a cantare i miei canti sotto altri cieli, e che la tua nazione potesse proseguire, come in passato, il suo esaltante compito: essere la pagina vuota del Grande Libro dell’Islam”.

(L’Opinione, 2 settembre 2008 )

Gheddafi: Obama ha paura di essere ucciso da Israele

USA 2008/ Gheddafi: Obama ha paura di essere ucciso da Israele

Per questo ha promesso 300 miliardi di dollari

ROMA, 12 giu. (Apcom) – Il candidato democratico nella corsa alla Casa Bianca Barack Obama ha espresso il suo sostegno a Israele per il timore che il Mossad lo uccida come fece con il Presidente John F. Kennedy. E’ quanto ha detto il leader libico Muhaammar Gheddafi, davanti a migliaia di fan, nel corso della cerimonia per il 38esimo anniversario del ritiro delle truppe Usa dalla Libia.

“Crediamo che possa temere di essere ucciso da agenti israeliani e fare la stessa fine di Kennedy quando promise di vederci più chiaro nel programma nucleare israeliano”, ha dichiarato ancora Gheddafi, citato dall’edizione online del quotidiano israeliano “Haaretz”.

“Obama ha offerto 300 miliardi di dollari di aiuti a Israele e più sostegno militare. E ha evitato di parlare delle armi nucleari di Israele”, ha detto ancora Gheddafi lasciando intendere che la lauta somma da lui menzionata sarebbe il prezzo che Obama è pronto a pagare per salvarsi la pelle.

(Alice News, 12 giugno 2008 )

Consiglio di Sicurezza dell’ONU: una prima svolta

UNA PRIMA SVOLTA

di PIERLUIGI BATTISTA

I diplomatici di quattro Paesi occidentali platealmente abbandonano per protesta la sala del Consiglio di sicurezza all’Onu e l’ambasciatore italiano alle Nazioni Unite, Marcello Spatafora, convince la presidenza a dichiarare immediatamente chiusa la discussione. Descritta così, potrebbe sembrare una di quelle tempeste destinate a compromettere la stabilità internazionale. Ma può anche essere una svolta, il segnale di un sentimento politico di insofferenza per chi, all’interno e fuori del Palazzo di Vetro, indugia ancora nel paragone tra «la situazione di Gaza e quella dei campi di concentramento nazisti», avanzata dal rappresentante della Libia. La reazione stavolta è stata fulminea: non restava che lasciare quell’importante riunione per non accettare in silenzio quell’ennesima ingiuria contro Israele.

A sessant’anni dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo promossa dalle Nazioni Unite all’indomani di una guerra apocalittica e feroce, l’azione dell’Onu a tutela dei diritti calpestati nel mondo non gode di grande reputazione. Difficile credere che le Nazioni Unite possano dimostrare un impegno efficace se al vertice delle commissioni deputate alla difesa di quei diritti siedono Paesi (e la Libia è tra questi) in cui il diritto è totalmente inesistente, le carceri rigurgitano di prigionieri rinchiusi senza regolare processo, la tortura è una pratica diffusa e impunita, le libertà politiche e civili cancellate da regimi asfissianti.

E’ difficile chiedere equanimità a un organismo internazionale che si rifiuta, com’è accaduto due mesi fa, di condannare la strage nella scuola rabbinica di Gerusalemme. E così all’Onu il terrorismo antisraeliano non viene mai sanzionato, ogni volta il veto di uno Stato di fede antioccidentale non consente a Israele di godere della solidarietà internazionale. Il ruolo di Israele deve essere sempre quello del carnefice. Ogni cordoglio per le sue vittime viene negato. Israele, con un paragone fabbricato deliberatamente per offendere crudelmente gli ebrei, viene dipinto come il «nuovo nazismo», e la questione palestinese come la nuova Shoah. Fu in ambito Onu che a Durban, nel 2001, una conferenza si trasformò in una truce kermesse antiebraica. E non si è dissolto il triste ricordo di quell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, anno 1975, in cui un nutrito gruppo di dittature equiparò il «sionismo» a una nuova forma di razzismo.

Il gesto degli ambasciatori che abbandonano il Consiglio di sicurezza quando risuonano le ingiurie antisraeliane del rappresentante libico rovescia un atteggiamento rassegnato in cui la prudenza si trasforma in accondiscendenza, sottomissione al capricci di nazioni che soffrono di un deficit strutturale di democrazia, irresponsabilltà su un tema, quello dei diritti universali, che stenta a trovare il riconoscimento che gli si deve. Ed è significativo che l’ambasciatore italiano si sia adoperato per sospendere una riunione che non avrebbe avuto senso proseguire, se non al prezzo di accettare la grottesca comparazione tra la condizione di Gaza e Auschwitz. E’ significativo e confortante perché segna la volontà di non accettare più i proclami di chi vorrebbe cancellare Israele dalla carta geografica, negando ad esso persino il diritto d’esistenza. Un primo passo. Ma un passo importante.

(Fonte: Corriere della Sera, 25 Aprile 2008, Prima Pagina)

Libia: «Gaza come i lager». E l’Italia ferma il Consiglio di Sicurezza Onu

Il concetto era gia’ stato espresso in maniera infornmale alla vigilia dell’appuntamento

Libia: «Gaza come i lager». E l’Italia ferma il Consiglio di Sicurezza Onu

L’ambasciatore italiano indignato per il paragone provoca l’interruzione della riunione

NEW YORK – L’Italia ha chiesto la sospensione immediata della riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu al Palazzo di Vetro dedicata al Medio Oriente. La richiesta dell’ambasciatore italiano, Marcello Spatafora, è arrivata dopo che il rappresentante della Libia, Ibrahim Dabbashi, aveva confermato il paragone fra la condizione nei campi profughi palestinesi di Gaza a quella nei campi di concentramento nazisti già prununicata mercoledì alla vigilia della riunione.

Secondo fonti diplomatiche italiane «Marcello Spatafora, indignato er l’accaduto, ha fatto in modo che, attraverso una procedura straordinaria, la riunione fosse interrotta immediatamente. E così l’ambasciatore sudafricano Dumisani Kumalo (presidente di turno), ha battuto il martelletto della presidenza dichiarando chiuso l’incontro che prevedeva ancora interventi di altri membri del Consiglio».

Subito dopo la dichiarazione di Dabbashi, hanno riferito alcuni dei presenti, i rappresentanti di alcuni Paesi «hanno rimosso l’auricolare della traduzione, si sono alzati in piedi e sono usciti dalla sala della riunione del consiglio di sicurezza» per protestare. Tra quelli che sono usciti quasi immediatamente, vengono citati i rappresentanti di Usa, Gb e Francia.

USA: «PARAGONE MORALMENTE OLTRAGGIOSO» – Dura la reazione degli Stati Uniti, che hanno accusato oggi la Libia di aver assunto una posizione «moralmente oltraggiosa». «Ce ne siamo andati», ha confermato oggi ai giornaisti il vice ambasciatore americano all’Onu Alejandro Wolff. L’episodio ha messo fine alla sessione del Consiglio, convocata per cercare di concordare un testo sulla crisi nella Striscia di Gaza. «Possiamo trattarne globalmente, onestamente e in modo costruttivo, oppure in maniera tendenziosa, ed è quel che è accaduto» -ha detto Wolff- il delegato libico è stato tendenzioso, di parte , storicamente scorretto e moralmente oltraggioso».

Corriere.it

In Europa sbarca il “nero” Fiore, leader di Forza Nuova

In Europa sbarca il “nero” Fiore, leader di Forza Nuova

ROMA – Insieme al leghista della prima ora e dai modi spicci Erminio Boso, sbarca all’Europarlamento anche il candidato premier di Forza Nuova, l’ex leader di Terza Posizione Roberto Fiore. E’ uno degli effetti collaterali delle elezioni politiche del week end scorso. Torna a Roma una dozzina di eurodeputati e subentrano le seconde file. A lasciare il posto a Fiore è la sua ex alleata Alessandra Mussolini, passata ed eletta ora alla Camera con il Pdl.

A Bruxelles Fiore, rientrato in Italia qualche anno fa alla fine di vent’anni di latitanza a Londra dopo che un’inchiesta giudiziaria aveva spazzato via la sua creatura politica degli Anni di Piombo, andrà a fare compagnia ad un altro eurodeputato della destra estrema e negazionista, Luca Romagnoli che oggi, dopo lo scioglimento del cartello elettorale con la Mussolini e Fiore, appoggia la Destra di Storace.

Nel programma di Fiore, che non ha mai abbandonato nè la nostalgia fascista nè le tesi negazioniste, oltre alla revisione completa della legge sull’aborto, alla rottura dei rapporti diplomatici con la Libia e alle nazionalizzazioni a piene mani di diversi settori dell’economia, e l’espulsione immediata delle prostitute, ci sono due misure che riguardano direttamente l’Europa: la chiusura del mercato del lavoro per cinque anni e la sospensione degli accordi di Schenghen per bloccare l’immigrazione anche da Paesi dell’Est divenuti comunitari

(Fonte: Corriere della sera, 19 Aprile 2008, pag. 8)

Il peccato di omissione dell’ONU

Il peccato di omissione dell’Onu

Il Consiglio di sicurezza non riesce a condannare la strage di Gerusalemme

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è arreso ai cavilli avanzati dalla Libia e non è riuscito a esprimere una condanna incondizionata per la strage terroristica che ha ucciso otto giovani studenti della Torah a Gerusalemme. Intendiamoci: meglio così di un compromesso pasticciato, di una condanna ipocrita accompagnata a prediche al governo israeliano perché reagisce al bombardamento continuo proveniente dalla Striscia di Gaza. D’altra parte la condanna dell’organismo internazionale sarebbe stata insincera. Tutti i giornali arabi hanno dato notizia dell’attentato, nessuno ha usato la parola terroristi. A Gaza si festeggia apertamente e sulla casa dell’assassino sventola la bandiera di Hamas. Il terrorismo, questo specifico terrorismo, non è la reazione fanatica di piccoli gruppi, è la strategia di Hamas, che peraltro l’ha sempre rivendicata, il che l’ha avvicinata, fino a intrecciarsi, alla rete di Al Qaida, come dice lo stesso presidente palestinese Abu Mazen.

Condannare la strage di Gerusalemme significa non solo condannare gli ispiratori che stanno a Gaza, ma riconoscere che contro di loro è necessario l’impiego anche della forza fino a che non saranno completamente annichiliti. L’Onu questo non lo fa e non può farlo, così come i giornalisti arabi non possono (non è detto che tutti non vogliano) chiamare i terroristi con il loro nome, neppure quando uccidono studenti inermi in una scuola in cui si studia il più sacro dei libri (sacro anche per gli islamici) Ma l’Onu che non condanna un atto del genere condanna se stessa all’irrilevanza politica e soprattutto morale. Le spiegazioni procedurali e burocratiche che sono state fornite per giustificare questa omissione di senso di umanità sono la migliore rappresentaziorie della condizione di paralisi di un organismo che pomposamente si attribuisce l’incarico di garantire la sicurezza del mondo. D’altra parte un’organizzazione che dà alla Libia o a Cuba l’incarico di vigilare sui diritti umani mostra una inadeguatezza etica che poi si esprime anche nella vergognosa non decisione del Consiglio di sicurezza.

(Fonte: il Foglio del 9 Marzo 2008)

Ecco cosa fa Gheddafi all’Onu

Edizione 13 del 21-01-2008

La Libia, appena entrata nel Consiglio di Sicurezza, vuoleva bloccare una risoluzione contro Hezbollah

Ecco cosa fa Gheddafi all’Onu

Per l’ambasciatore libico, forse i razzi su Israele non arrivano dal Libano…

di Dimitri Buffa

La comunità mondiale, e segnatamente quella occidentale, ha fatto veramente un grande affare nel recupero della Libia e del suo leader Muhammar Al Qhatafi, comunemente noto come Gheddafi, alla causa della lotta al terrorismo islamico. Un esempio chiaro di come Gheddafi adesso intenda i rapporti ritrovati con gli Usa e l’Occidente è l’episodio di pochi giorni fa, passato del tutto sotto silenzio nei media europei, del tentativo di non fare condannare gli Hezbollah per i bombardamenti su Israele davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Organismo che la Libia presiede per rotazione da pochi giorni, dopo che per la prima volta gli Stati Uniti hanno dato il via libera alla sua candidatura. Due razzi Katyusha si erano infatti abbattuti l’ 8 gennaio di buon mattino sulla cittadina israeliana di Shlomi, in Alta Galilea, ai confini con il sud del Libano, colpendo un’abitazione e una strada. La principale materia del contendere ruotava attorno alla richiesta israeliana che la risoluzione Onu denunciasse esplicitamente l’attacco di razzi come una violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, quella che ufficialmente pose fine ai combattimenti della guerra in Libano contro Hezbollah nell’estate 2006.

L’ambasciatore libico Giadalla Ettalhi, che ricopre in questo periodo la presidenza del Consiglio di sicurezza, aveva invece fatto sapere che il suo governo respingeva qualunque riferimento alla 1701, sostenendo che all’Onu non risultava alcuna prova definitiva che il lancio dei razzi avesse avuto luogo dal territorio libanese. Un po’ come se i Katyuscia fossero piovuti da un altro pianeta. Gerusalemme, pur avendo segnalato la disponibilità a trovare un compromesso circa i riferimenti espliciti al Libano nel testo del documento, ha invece insistito perché venisse espressamente citata la risoluzione 1701 nella formula di riprovazione.

Da parte sua la Libia ha cercato fino all’ultimo invece di far includere nel testo della bozza di risoluzione una formula di condanna dei sorvoli che le forze aeree israeliane effettuano sul Libano meridionale (per sorveglianza anti-terrorismo), pretesa ovviamente respinta da Israele. Come è andata a finire? Per una volta all’Onu “sono arrivati i nostri” che hanno messo in minoranza la Libia che ha dovuto mandare giù il boccone di dovere fare leggere al proprio rappresentante la risoluzione voluta da Israele che era stata approvata il 10 sera dal Consiglio di Sicurezza.

Fatti del genere però potrebbero ripetersi e la Libia non riconosce neanche la legittimità dell’esistenza dello stato di Israele anche se i paesi membri del Consiglio di sicurezza, anche quelli a semplice rotazione, dovrebbero per statuto avere rapporti diplomatici con tutti i paesi dell’Onu. La Libia è stata nominata lo scorso ottobre, insieme a Burkina Faso, Costa Rica, Croazia e Vietnam, membro a rotazione del Consiglio di Sicurezza dopo che gli Stati Uniti, che avevano bloccato due sue precedenti candidature, avevano deciso questa volta di non opporsi. Per un meccanismo alfabetico, la Libia è diventata presidente dell’organismo (composto da cinque membri permanenti e dieci a rotazione) sin dall’inizio del suo mandato come membro del Consiglio, succedendo alla presidenza italiana. Ciascun paese ricopre la carica di presidente per un mese, seguendo l’ordine alfabetico dei rispettivi nomi in inglese. Libia e Burkina Faso sono entrati nel Consiglio come candidati del gruppo regionale africano per i due seggi rimasti vacanti il 31 dicembre scorso.

Opinione.it

Tripoli ostacola risoluzione Onu contro le Katyusha sulla Galilea

Tripoli ostacola risoluzione Onu contro le Katyusha sulla Galilea

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La Libia, che la scorsa settimana ha assunto la presidenza a rotazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sta ostacolando il tentativo diplomatico guidato da Israele per arrivare a una risoluzione di condanna dei lanci di razzi Katyusha di martedì scorso dal Libano sulla Galilea.

Due razzi Katyusha si sono infatti abbattuti, martedì mattina, sulla cittadina israeliana di Shlomi, colpendo un’abitazione e una strada.

La principale materia del contendere ruota attorno alla richiesta israeliana che la risoluzione denunci esplicitamente l’attacco di razzi come una violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, quella che ufficialmente pose fine ai combattimenti della guerra in Libano contro Hezbollah dell’estate 2006.

L’ambasciatore libico Giadalla Ettalhi, che ricopre in questo periodo la presidenza del Consiglio, ha fatto sapere che il suo governo respinge qualunque riferimento alla 1701, sostenendo che all’Onu non risulta alcuna prova definitiva che il lancio dei razzi abbia avuto luogo dal territorio libanese.

Gerusalemme, pur avendo segnalato la disponibilità a trovare un compromesso circa i riferimenti espliciti al Libano nel testo del documento, insite tuttavia perché venga espressamente citata la risoluzione 1701 nella formula di riprovazione.

Da parte sua la Libia cerca invece di far includere nel testo della bozza di risoluzione una formula di condanna dei sorvoli che le forze aeree israeliane effettuano sul Libano meridionale (per sorveglianza anti-terrorismo), pretesa respinta da Israele.

In quanto presidente del Consiglio di Sicurezza, l’ambasciatore libico all’Onu sarebbe tenuto a intrattenere contatti con tutte gli stati rappresentanti nell’organismo internazionale, compreso Israele, paese con cui peraltro la Libia ancora si rifiuta di avere rapporti diplomatici. Secondo fonti diplomatiche, tuttavia, è assai improbabile che Tripoli si comporti in questo modo con Israele.

La Libia è stata nominata lo scorso ottobre, insieme a Burkina Faso, Costa Rica, Croazia e Vietnam, membro a rotazione del Consiglio di Sicurezza dopo che gli Stati Uniti, che avevano bloccato due sue precedenti candidature, avevano deciso questa volta di non opporsi.

Per un meccanismo alfabetico, la Libia è diventata presidente dell’organismo (composto da cinque membri permanenti e dieci a rotazione) sin dall’inizio del suo mandato come membro del Consiglio, succedendo alla presidenza italiana. Ciascun paese ricopre la carica di presidente per un mese, seguendo l’ordine alfabetico dei rispettivi nomi in inglese.
Libia e Burkina Faso sono entrati nel Consiglio come candidati del gruppo regionale africano per i due seggi rimasti vacanti il 31 dicembre scorso.

Il Consiglio di Sicurezza è l’organismo dell’Onu che ha facoltà di inviare truppe di peacekeeping in giro per il mondo e di imporre eventuali sanzioni contro specifici paesi. A differenza dei cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna Francia e Cina), i membri non permanenti non hanno diritto di veto individuale. Tuttavia, un’alleanza di sette di essi può bloccare una risoluzione anche se sostenuta dalle potenze maggiori.

Solo di recente la Libia ha ristabilito buoni rapporti con l’occidente, dopo essere stata accusata di sponsorizzare il terrorismo responsabile, fra l’altro, dell’abbattimento nel 1988 del volo Pan Am 103 sulla Scozia, che provocò la morte di 270 persone.

(Da: Ha’aretz, 10.01.08)

Nella foto in alto: L’ambasciatore libico all’Onu, Giadalla Ettalhi, alla presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza

Dove si incaglia il processo di pace

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