Nel 1985 uccise 13 persone nella strage all’aeroporto di Fiumicino. Adesso esce di cella e fa il giardiniere

Uccise 13 persone a Fiumicino. Esce di cella e fa il giardiniere

L'aeroporto di Fiumicino poco dopo l'attentato del 1985

L'aeroporto di Fiumicino poco dopo l'attentato del 1985

Mahmoud nell’ 85 guidò il commando palestinese all’ aeroporto. L’assalto al banco delle linee israeliane. «Penso sempre a quei morti. Allora non ragionavo, ero indottrinato»

ROMA – Portò la guerra a Roma, ha tredici morti sulla coscienza e raccoglie foglie secche in un prato. Khaled Ibrahim Mahmoud oggi ha 41 anni. Ne aveva 18, il 27 dicembre 1985, quando guidò il commando della strage di Fiumicino. «Ci penso sì, a quei morti. Ci penso ancora e ci penserò sempre. E penso anche che l’aver seminato il terrore, come abbiamo fatto noi, non è servito a niente. Non è servito al mio popolo, non è servito alla pace. Anzi, il contrario…».

Il 27 dicembre 1985, all’aeroporto di Fiumicino, il commando di terroristi palestinesi uccise tredici persone e ne ferì più di 80, sparando contro il banco delle linee aeree israeliane. Il fuoco della sicurezza in pochi secondi annientò gli assalitori, tre morirono all’ istante, Khaled rimase ferito, unico superstite. Poi è stato in carcere 23 anni, fino a tre giorni fa. Oggi è un detenuto semilibero (la sera torna a Rebibbia) e da giovedì ha cominciato a lavorare all’ esterno per una cooperativa sociale: giardinaggio, facchinaggio, pulizie nei mercati e nei parchi di Roma (come Pino Pelosi, l’ assassino di Pier Paolo Pasolini). La prima cosa che ha chiesto è stato il permesso di acquistare un telefonino cellulare («Per chiamare mio fratello e i miei genitori ormai anziani», dice in buon italiano, appreso in questi anni leggendo e guardando in cella la televisione).

Gli altri detenuti che lavorano con lui non conoscono la sua storia. Khaled, in fondo, preferisce così: «Il dolore che provo – dice – non potrebbe essere condiviso, sono venuto al mondo durante la guerra, una lunga scia di sangue e di orrori mi accompagna da sempre, da Sabra e Chatila a Fiumicino. Ma allora avevo 18 anni, ero completamente indottrinato, non ragionavo. Il carcere, almeno, mi è servito a questo: a farmi pensare con la mia testa, a farmi capire tante cose». Lui faceva parte del gruppo di Abu Nidal, il feroce leader della lotta armata palestinese, mandante del massacro di Fiumicino, trovato morto in un appartamento di Bagdad nell’ agosto 2002 («È stato ammazzato, ne sono certo», dice oggi Khaled, condannato a 30 anni per la strage dell’ 85).

Il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, è la persona che in questi anni l’ ha seguito più da vicino: «Di sicuro – dice il Garante – Khaled ha maturato una critica profonda rispetto al suo passato. In carcere ha studiato, ha fatto il bibliotecario, è stato un detenuto modello, perciò ha ottenuto la liberazione anticipata. Il nostro è un sistema premiale, dunque non c’ era motivo perché lui non ottenesse i benefìci previsti dalla legge. Il primo permesso gli fu accordato un anno fa, lo accompagnai io stesso ad Ostia, a vedere il mare…». Il giorno che andarono al mare, però, pioveva e faceva freddo: del resto, dopo 23 anni di carcere, diventa difficile far tornare i conti. Se n’ è andato un pezzo di vita perché tu hai distrutto quella degli altri e anche andare avanti fa paura. «Il mondo da allora è completamente cambiato – sospira l’ ex terrorista, con i capelli ingrigiti -. È caduto il muro di Berlino, non c’ è più l’ Unione Sovietica, non c’ è più il comunismo. Noi stavamo coi russi, all’ epoca, io stesso ero comunista-stalinista, oggi però sono in via di guarigione…». L’ anno prossimo Khaled finirà di scontare la sua pena, nel frattempo si è laureato in Scienze politiche con una tesi sui Diritti umani e, malgrado tutto, sembra avere fiducia nel futuro del Medio Oriente: «Prima o poi tutti i muri cadono. Ma la pace non s’ impone, la pace bisogna volerla».

Caccia Fabrizio

(Fonte: Corriere della Sera, 22 Novembre 2008, pag. 23)

Una Risposta to “Nel 1985 uccise 13 persone nella strage all’aeroporto di Fiumicino. Adesso esce di cella e fa il giardiniere”

  1. Daniel Says:

    27.11.2008 Che giustizia è mai questa !
    scarcerato Khaled Ibrahim Mahmoud, responsabile della strage di Fiumicino: il commento di Piera Prister

    Testata: Informazione Corretta
    Data: 27 novembre 2008
    Pagina: 1
    Autore: Piera Prister Bracaglia Morante
    Titolo: «Che giustizia è mai questa !»

    Ma che giustizia e’ questa
    A Khaled Ibrahim Mahmoud, il terrorista capo del commando palestinese che
    compi’ la strage di 13 passeggeri a Fiumicino il 27 dicembre 1985 al banco
    dell’El Al e della Twa, sono bastati solo una ventina di anni di carcere dei
    trenta a cui era stato condannato, anni passati per lo piu’a farsi una
    cultura tra libri e dizionari, per riottenere la semiliberta’, per poi
    camminare a piede libero, lavorare di giorno e ritornare a Rebibbia di
    notte, dal momento che i giudici hanno deliberato per un alleggerimento
    della pena. Avrebbero dovuto subito dargli l’ergastolo, invece gli diedero
    30 anni ed ora gli hanno ridotto ulteriormente la pena fino alla completa
    scarcerazione che avverra’ il prossimo anno.
    Con questa indulgente sentenza, che cosa si vuole dimostrare? Forse la
    capacita’ di riabilitazione dei luoghi di detenzione secondo cui il
    colpevole puo’ essere redento e rieducato o piuttosto l’incapacita’
    degli stessi giudici di giudicare i crimini secondo giustizia, e di
    infliggere una pena commisurata al crimine commesso?! O dimostrare
    piuttosto la mancanza d’indipendenza della magistratura dal potere politico,
    quello stesso potere politico che con il Lodo Moro, ha venduto l’incolumita’
    dei cittadini italiani ebrei ed israeliani ai terroristi e che sembra dai
    fatti tuttora ancora vigente. L’allora ammiraglio Fulvio Martini, capo del
    SISMI ed autore di un memoriale dal titolo, “Nome in codice: Ulisse”
    riferendosi all’attentato di Fiumicino del 1985 scrive che “qualcosa non
    funziono’ nella gestione delle forze dell’ordine italiane e nonostante le
    informazioni ricevute da parte di un paese arabo amico con piu’ di una
    settimana di anticipo, l’azione dei terroristi non fu fermata in tempo”.
    Sembra essersi ripetuta indecentemente la stessa scena dell’attentato alla
    Sinagoga di Roma del 1982 quando i governanti sapevano che ci sarebbe stato
    un attentato e non fecero nulla, non avvertirono nemmeno i notabili della
    comunita’ ebraica, anzi ritirarono le due volanti di polizia poste a
    protezione di quei luoghi.
    Al giudice Minosse, figura infernale che in Dante esprime la certezza della
    pena, basta solo ringhiare orribilmente e avvinghiare la sua coda intorno al
    corpo tante volte quante sono i cerchi a cui sono destinati i colpevoli che
    arrivano al suo cospetto, intimoriti e consapevoli di espiare con il castigo
    le loro colpe ed il suo giudizio e’ inappellabile. Quella di Dante e’ una
    giustizia divina, questa e’ solo una giustizia umana, Khaled Mahmoud e con lui i protervi governanti italiani (da cui ci si aspetterebbe almeno un mea culpa) non hanno avuto nessun timore della pena, che per il primo e’ stata blanda e a cui e’ stata anche data la possibilita’ di laurearsi come anche ad altri terroristi
    bombaroli, e per i secondi poi non c’e’ stato nemmeno un redde rationem di fronte al banco degli imputati, sacri ed intoccabili come sono!
    Terra generosa l’Italia, molto piu’ umana verso i rei che verso le vittime,
    un paese in cui si condonano gli assassini mentre si dimenticano gli
    assassinati ignorando la civilta’ del diritto e il grande patrimonio di
    cultura che uomini illustri ci hanno lasciato in eredita’ da Cesare Beccaria
    a Piero Calamandrei (quest’ultimo ricordiamo espresse una grande
    indignazione per la rimessa in liberta’
    del nazista Kesserling ). Infatti sulla prevenzione dei delitti non si fa
    ne’motto ne’ azione e per la loro punizione si ricorre all’indulgenza e alle
    amnistie che altro non sono se non la mancanza di discernimento tra il bene
    e il male. Come se con la cancellazione della colpe si esorcizzassero anche
    i delitti. Ma l’iniquita’ esiste e deve essere perseguita e punita con
    severita’, anche se e’ compito di una societa’ civile prevenirla. Vanno
    prevenute e alleviate piuttosto le possibili sofferenze della collettivita’
    esposta al crimine e non le pene di chi commettendo il reato, puo’ recidivo
    ricommetterlo. Il giudice saggio e’ colui che sa che “tanto piu’ giuste sono
    le pene quanto piu’ sana e inviolabile e’ la sicurezza.”(Cesare Beccaria:
    “Dei Delitti e delle Pene”) Il crimine di Khaled Mahmoud e’ tanto
    piu’riprovevole perche’
    e’antisemita, avendo avuto per bersaglio passeggeri ebrei che si stavano
    imbarcando al banco dell’El- Al, le linee aeree israeliane e quella non e’
    stata la prima strage, ce ne fu un’altra sempre a Fiumicino nel 1973 quando
    un altro commando palestinese sparo’
    all’impazzata sui passeggeri. Chiunque e’ in grado di notare la recidivita’
    del crimine ad opera di fanatici antisemiti, e tanto piu’
    lo dovrebbero fare i giudici e magari chiedersene il perche’.
    E cosi’ l’Italia patria di Cesare Beccaria, pietra miliare del diritto e
    della giustizia sul tema dei delitti e delle pene, viene completamente
    misrappresentata dai giudici di Roma che hanno rimesso in liberta’ un
    individuo pericoloso, un terrorista che e’ responsabile della morte di 13
    persone e del ferimento di un centinaio di feriti all’aereoporto di
    Fiumicino il 27 dicembre 1985, in un eccidio che colpi’ simultaneamente
    anche l’aereoporto di Vienna nello stesso giorno e alla stessa ora.
    Ricordiamo ancora le immagini di quella carneficina con i passeggeri urlanti
    in preda al panico che cercavano riparo acquattandosi in basso mentre il
    sangue schizzava da tutte le parti. Non ci sono criteri di clemenza a cui
    rifarsi per poter capire la sentenza dei giudici. Per un crimine cosi’
    efferato come un reato di strage e per giunta dettato dall’odio razziale non
    ci puo’ essere clemenza.
    Meditino i giudici che la severita’ della pena e il bene pubblico sono
    direttamente proporzionali e che ” il fine della pena non e’
    quello di tormentare ed affliggere un essere sensibile ma non e’ altro che
    d’impedire il reo dal fare nuovi danni e di rimuovere gli altri dal farne
    uguali”.( Cesare Beccaria cap. 12)
    Piera Prister Bracaglia Morante

    http://www.informazionecorretta.com:80/main.php?mediaId=115&sez=120&id=26752


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