Il signor D’Alemmah colpisce ancora….

Come sempre la cecità politica di questo personaggio che, ahinoi, ha ricoperto la carica di Ministro degli Affari Esteri italiani dimostrando in quella circostanza la sua totale parzialità a favore del terrorismo islamico antisraeliano, non permette alla Sinistra italiana di risultare credibile agli occhi dell’opinione pubblica israeliana. E non solo a quella…….

Gaza/ D’Alema critica Frattini e ‘apre’ ad Hamas, Pdl lo attacca

dalemafat

Mentre si crea clima bipartisan su iniziativa Ue per tregua

Roma, 30 dic. (Apcom) – Massimo D’Alema interviene in Parlamento sulla crisi in Medioriente e sulla necessità di coinvolgere Hamas nelle trattative per la pace suscitando immediate critiche da parte del centrodestra. Parole, quelle dell’ex ministro degli Esteri, che segnano una distinzione anche all’interno del Partito democratico, dove, ad esempio, il ministro ombra, Piero Fassino, ha un atteggiamento molto meno flessibile verso l’organizzazione islamica che controlla la Striscia di Gaza.

La ‘batteria’ di critiche a D’Alema arriva dentro e fuori la sala dove si è svolta la comunicazione del ministro degli Esteri Franco Frattini. Pochi i leader politici presenti ad ascoltarlo in questa giornata di vigilia della fine dell’anno, ma l’ex vicepremier è tra i primi ad arrivare e il primo a prendere la parola dopo Frattini, il cui intervento definisce “contradditorio”. “E’ difficile sostenere l’azione dell’Egitto e allo stesso tempo l’intervento militare israeliano – osserva -. Dobbiamo liberarci da contraddizioni che rendono meno limpido il discorso politico”.

“Un anno di negoziati non ha portato a risultati sostanziali malgrado il solenne impegno americano – rileva ancora D’Alema -. Bush aveva promesso che entro la fine del suo mandato sarebbe stato raggiunto un accordo di pace, ma a tutt’oggi non ce n’è traccia”. Per questo “serve un’iniziativa forte per ridare voce alla leadership palestinese, ma allo stesso tempo non bisogna dimenticare che Hamas è un movimento politico che ha vinto elezioni democratiche, è una forza che raccoglie un vasto consenso e per questo non è possibile non coinvolgerlo” in qualsiasi tipo di trattativa.

E mentre in un clima bipartisan tutte le forze politiche apprezzano l’iniziativa europea per un cessate il fuoco e per l’invio di osservatori internazionali che permettano di riavviare il processo di pace, sulle parole di D’Alema è duro il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, che giudica “grave l’apertura di D’Alema ad Hamas che è una organizzazione di terroristi, con la quale non vogliono avere rapporti nemmeno le autorità della Palestina”. E con lui Gaetano Quagliariello, Isabella Bertolini, Daniele Capezzone. A difendere l’ex ministro degli Esteri l’ulivista Franco Monaco secondo il quale la sua è “una rara voce che non si unisce al coro, che non si sottrae a circostanziati giudizi politici, una voce per nulla estremistica ma in sintonia con Onu, Ue, Vaticano. L’amicizia per Israele non ci esonera dal dovere di parlar chiaro, di giudicare sproporzionata la sua azione militare”.

Radio Ayatollah: le quinte colonne del regime

Radio Ayatollah: le quinte colonne del regime

Le quinte colonne del regime iraniano. Calunniano Israele, attaccano l’America e negano l’11 settembre. Sono gli intellettuali che spiegano l’Italia a Teheran. A modo loro

di Rodolfo Casadei

Ricorderete il discreto baccano di due settimane fa intorno a quell’addetto militare dell’ambasciata tedesca a Teheran che partecipò alla parata per la commemorazione della guerra Iran-Iraq violando un preciso accordo vigente in sede Ue (ndr: per la verità pochi giorni dopo è uscita la notizia che alla medesima parata era presente anche un addetto militare dell’ambasciata italiana) . Durante la sfilata fecero la loro comparsa, come sempre, striscioni con su scritto «Israele deve essere spazzata via dalle mappe» e «Israele dovrebbe essere cancellata dal mondo». Ovvio che siano piovute critiche sul governo di Berlino.

Ma che direste di europei, diciamo di italiani, che si prestassero a legittimare la propaganda dei media di regime iraniani? Ebbene, essi esistono. Come esiste una redazione della radio di Stato iraniana incaricata della propaganda khomeinista verso l’Italia: si chiama Radio Italia, è stata creata nel 1995 e da allora trasmette da Teheran nella lingua di Dante due ore al giorno, una la mattina e l’altra la sera, sulle frequenze kHz 11555, 13770, 15085, 5910 e 7380.

È parte integrante di La Voce della Repubblica islamica iraniana, cioè la radio di Stato iraniana, e dispone anche di un sito internet (http://italian.irib.ir). Qui si può scoprire facilmente chi sono i beniamini italiani della radio di Ahmadinejad, quelli ai quali ci si rivolge per un illuminato parere, che si tratti della Palestina o della guerra in Iraq, dell’islamofobia o della politica italiana. Spiccano i nomi di Maurizio Torrealta di RaiNews24, Giulietto Chiesa, Franco Cardini, padre Alessandro Zanotelli, la scrittrice e giornalista Angela Lano, la islamista della Sapienza di Roma Biancamaria Scarcia Amoretti, il docente dell’università di Teramo nonchè ammiratore del negazionista Robert Faurisson Claudio Moffa, Maurizio Musolino della direzione nazionale del Pdci, il sociologo Stefano Allievi e chi più ne ha più ne metta. Torrealta, la Lano e Allievi sono talmente apprezzati che la loro foto campeggia nell’homepage del sito internet della radio. Torrealta è diventato una star del sito grazie ai suoi famosi scoop, l’ultimo dei quali è la rivelazione, per bocca di un reduce, che gli americani avrebbero lanciato una bomba atomica da 5 chilotoni (un terzo della potenza di quella di Hiroshima) a Bassora nel 1991, al termine della prima guerra del Golfo. Da notare che questa notizia ha cominciato a circolare nel 2006 (solo in quella data la memoria del veterano si è risvegliata) a partire dal blog di un giornalista canadese, tale Thomas William, che lo ha intervistato. Il suo articolo comincia così: «Nonostante tutta l’intelligence americana sia d’accordo che l’Iran non sta sviluppando armi atomiche, i fondamentalisti apocalittici George Bush e Dick Cheney sono decisi a ordinare un attacco su vasta scala contro una delle più antiche (e meglio armate) civiltà».

Padre Zanotelli, già missionario comboniano nel Sudan, espulso nel 1978 dal governo Nimeiri che stava massacrando i non musulmani, dichiara agli iraniani a proposito dell’intolleranza religiosa e razziale: «E non sono solo i rom, sono in particolare i musulmani ad essere soggetti al razzismo. I musulmani sempre di più in Italia e in Europa vengono visti come un pericolo e come un qualcosa che non va. È importante sottolineare che come un giorno ci hanno portati lentamente a pensare che i comunisti erano i “criminali di turno” e i “grandi nemici”, oggi caduto il comunismo, ci si sta preparando a far vedere l’islam come un nuovo nemico». Mentre i comunisti di ieri e gli islamisti di oggi sono bravi ragazzi rovinati dalla cattiva pubblicità, l’opinione pubblica trascura i veri cattivi, quelli che compiono il nuovo Olocausto sotto i nostri occhi: «Gli israeliani, ad esempio, oggi ripetono contro i palestinesi le stesse brutalità che loro stessi avevano subito nella seconda guerra mondiale dai nazisti».

Zanotelli non è l’unico italiano che ha la faccia tosta di proporre l’equazione che equipara Israele e Terzo Reich sulle pagine web di un sito khomeinista: Angela Lano, scrittrice pubblicata dalle edizioni Paoline e ospitata da molte riviste missionarie, fa altrettanto in un’intervista sulla Palestina. Dove si indigna perché «le informazioni sui massacri in Palestina e sul genocidio palestinese esistono», ma «in giro c’è molto silenzio» a causa del fatto che «molti governi (arabi) sono asserviti o solidali con Stati Uniti e Israele oppure sono ricattati». Per fortuna che «alcuni Stati levano la loro voce, tipo l’Iran».

Non contenta di aver accusato Israele di genocidio sulle pagine web di coloro che lo vogliono cancellare dalle carte geografiche, la Lano lo incolpa anche di pulizia etnica: «È stato pubblicato un magnifico libro sulla pulizia etnica nella Palestina dello storico ebreo israeliano che vive a Londra, Ilan Pappe, che consiglio a tutti, dove si afferma con i documenti alla mano che il progetto sionista era quello di spazzare via tutti i palestinesi dalla Palestina e quindi creare una grande Israele epurata dalla sua popolazione autoctona originale palestinese per dare vita ad un’entità ebraica pulita. Questo è stato il piano attivato nel ’47 e ’48 con una forte pulizia etnica documentata in questo libro in modo scientifico e che continua tuttora».

Ora, a parte il fatto che il libro di Pappé è stato demolito da tutti gli storici israeliani, compresi quelli di sinistra come Benny Morris, anche il più ignorante degli studenti sa (dovrebbe sapere) che l’esodo e l’espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi nel 1948 furono la conseguenza di una guerra di aggressione dichiarata dagli arabi, non dagli israeliani! Il rapporto un po’ disagiato di Angela Lano coi fatti storici si conferma poco dopo, quando si profonde in lodi del negazionista dell’11 settembre Giulietto Chiesa: «Giulietto Chiesa ha prodotto un film bellissimo che si chiama Zero che tratta la verità sull’11 settembre. Il suo è un lavoro d’informazione realistica e veritiera data ai cittadini».

Il Giulietto nazionale non poteva mancare sul sito della radio di Ahmadinejad, e infatti in un’intervista si profonde in geniali considerazioni, come quella secondo cui l’antisemitismo non esiste. «Io non sono mai stato antisemita, anche se non so bene cosa significa la parola antisemita, perché essere antisemita significa essere contemporaneamente contro gli ebrei e anche contro gli arabi che sono tutti semiti, quindi essere antisemita non significa nulla».

Negazionisti alla riscossa

Come non manca l’altro famoso negazionista dell’11 settembre, lo storico Franco Cardini, che coglie l’occasione di un’intervista per giustificare l’uccisione di militari italiani in Afghanistan da parte dei terroristi talebani. «Durante la seconda guerra mondiale – spiega – abbiamo avuto un fenomeno diffuso di non-militari che sparavano sui militari dell’esercito tedesco, e per queste persone abbiamo usato ordinariamente il termine di partigiano, che è sinonimo di patriota. E queste persone non le consideriamo terroristi. Allora mi chiedo – alla luce di tutto questo –, quando un afghano spara contro un soldato della Nato, dobbiamo considerarlo un terrorista o un patriota? Questo non mi è chiaro». In realtà il dubbio del filo-talebano Cardini è tutto retorico, perché poche righe sopra aveva detto: «Noi italiani siamo purtroppo coinvolti in due guerre (Afghanistan e Iraq, ndr), perché non siamo ancora usciti totalmente dall’Iraq. Due guerre che non ci riguardano, contro due paesi che non ci hanno mai fatto del male e io come cittadino italiano (…) mi vergogno che il mio esercito sia trascinato in questa disonorevole occupazione».

Cardini non è l’unico accademico con le idee un po’ confuse. Più divertente e meno sanguinosa di lui c’è un’islamista dell’università La Sapienza di Roma: Biancamaria Scarcia Amoretti. All’intervistatore che le domanda: «Purtroppo recentemente accadono dei casi in cui si cerca di presentare la fede islamica come una religione violenta e poco pacifica. Lei che cosa ne pensa?», risponde: «Penso che questa tendenza ci sia sempre stata nell’Occidente. Io penso che l’islam sia stato sempre visto come il grande nemico ed il grande rivale (…), non c’è stato un momento in cui l’islam sia stato considerato dall’Occidente in maniera tranquilla, pacifica, obiettiva e rispettosa. Tutti i miei studi mi portano a vedere che l’Occidente ha piuttosto sempre scelto la via dello scontro». Sì, lo scontro con quei pacifisti che si sono limitati a smontare l’Impero Romano d’Oriente, conquistare Sicilia e penisola iberica, occupare i Balcani e mettere l’assedio a Vienna.

(Fonte: Tempi, 30 Ottobre 2008 )

Il protocollo dei savi di Wall Street

Il protocollo dei savi di Wall Street

Le tesi sulle crisi dei mercati finanziari,offrono un’infinita possibilità di variazioni tematiche, ma non ci si era ancora accorti che mancava, tra critiche al liberismo, rivalse marxiane, nostalgie di Keynes, la più classica di tutte: quella del complotto ebraico.

Ovviamente l’ha lanciata il presidente iraniano Ahmadinejad. E’ bellissima: secondo l’Iran il crack nasce perchè dei funzionari ebrei della Lehman Brothers avrebbero sottratto surrettiziamente 400 miliardi di dollari dai fondi della banca per trasferirli in banche israeliane. Così Israele finge di preoccuparsi della situazione, mentre i suoi banchieri si tuffano nell’oro. Se la storiella di Ahmadinejad fosse vera, il segretario all’Economia Usa, Paulson avrebbe fatto davvero bene a far fallire una banca che si lascia sottrarre 400 miliardi di dollari senza accorgersene. E i mercati mondiali potrebbero tirare un sospiro di sollievo: i soli stanziamenti annunciati dal piano della Casa Bianca coprirebbero abbondamentemente l’ammanco. Ma il problema non è l’incredibilità della ricostruzione avanzata dall’Iran, quanto il fatto che questa si è potuta conoscere solo attraverso un giornale, l’Unità che unico in Italia ha rilanciato quelle posizioni e non nell’inserto satirico, dove pure farebbero la loro figura, ma nelle pagine dedicate solennemente all'”allarme economia”.

Una pagina, per l’esattezza, di due articoli dove il secondo è quello sulla posizione iraniana, senza alcun commento. Senza neppure un tentativo di predendere le distanze. Ci sarebbe da credere in un antisemitismo di ritorno, neanche troppo mascherato dal senso del pudore, a cui l’Unità proprio non sa resistere.

(15 Ottobre 2008 )

L’Occidentale

Bruno Zevi: un discorso memorabile e, purtroppo, sotto molti aspetti ancora attuale

Bruno Zevi: un discorso memorabile e, purtroppo, sotto molti aspetti ancora attuale

Bruno Zevi

Bruno Zevi

Come racconta sicuramente meglio di noi Barbara, il 9 Ottobre 1982, nel giorno di Sheminì Azeret, alle 11:55, la Sinagoga Maggiore di Roma venne attaccata da terroristi armati che aprirono il fuoco sulla folla all’uscita dalla funzione: un bambino di due anni, Stefano Gay Tachè, rimase ucciso, e i feriti furono più di trenta, alcuni dei quali gravi. Due giorni dopo il Professore Bruno Zevi, allora Consigliere del Comune di Roma, tenne un memorabile discorso proprio durante la seduta del Consiglio comunale, discorso che è – purtroppo – ancora attuale.

Abbiamo pensato fosse giusto riproporre quel discorso in una data come quella odierna:

Testo completo del discorso pronunziato l’11 Ottobre 1982 in Campidoglio dal prof. Bruno Zevi, a nome della Comunità israelitica romana:

“Noi, popolo di Israele, protestiamo e accusiamo”

L’antisemitismo ha una storia millenaria, ma quello culminato nella strage di sabato scorso alla nostra sinagoga ne ha anche una specifica, le cui componenti furono denunciate qui in Campidoglio nell’ottobre 1976, esattamente sei anni fa. Qualcuno di voi forse ricorda quell’avvenimento.

Giulio Carlo Argan era stato eletto da poche settimane sindaco di Roma. Si avvicinava il 16 ottobre, trentatreesimo anniversario del giorno in cui i nazisti accerchiarono il ghetto e 1.259 ebrei furono deportati. Argan volle che la ricorrenza fosse celebrata in Campidoglio, e questo costituì l’occasione per esaminare le cause di un nascente antisemitismo, manifestatosi poco tempo prima con il lancio di bottiglie incendiarie contro la sinagoga, in strumentale concomitanza con un comizio di sinistra.

Furono spregiudicatamente individuate tre cause, dirette e indirette, di questo nuovo antisemitismo.

La prima riguardava lo Stato d’Israele, la campagna antisionista, già allora estesasi in maniera abnorme e velenosa. Avvertimmo che l’antisionismo non era altro che una mascheratura dell’antisemitismo, com’era e come è divenuto sempre più evidente dai paesi arabi all’Unione Sovietica.

La seconda causa poggiava sul secolare antisemitismo cattolico, che il Concilio Vaticano non era riuscito a debellare, pur sollevando finalmente gli ebrei dalla turpe condanna di popolo deicida. Rilevammo allora come fosse urgente, per l’indipendenza e il carattere laico della repubblica italiana, procedere ad una profonda revisione del Concordato firmato dal fascismo e dei relativi Patti Lateranensi.

Terza causa la posizione marxista sulla questione ebraica, posizione inquinata dall’« odio ebraico di sé » di Carlo Marx, dall’ostilità di Lenin nei confronti del bund ebraico, e dall’atteggiamento illuministicamente antisemita di molti leaders che si richiamavano al marxismo. Chiedemmo allora che, alla luce del pensiero di Gramsci, si pervenisse ad una svolta decisiva del pensiero marxista ufficiale sulla questione ebraica.

Sono trascorsi sei anni, e queste tre cause dell’antisemitismo, già allora evidenti, non sono state rimosse. Anzi si sono aggravate a tutti i livelli, dalle scuole elementari all’università. Dalle fabbriche ai palazzi del potere economico condizionati dai petrodollari.

Se gli ebrei romani, l’altro giorno e ieri, hanno scelto di vivere il loro lutto da soli, rifiutando lo spettacolo di una passerella di uomini politici, di giornalisti e di intellettuali, che si offrivano di venire in ghetto per esprimere il loro sdegno e la loro solidarietà, è perché ritengono che non sia oltre accettabile una solidarietà che si concreta soltanto quando ci sono ebrei morti, bambini di due anni assassinati.

E’ gravissimo dirlo, e per me liberal-socialista particolarmente angoscioso, ma quanto è accaduto l’altro giorno nella tragica realtà era stato prefigurato, quasi simulato qualche mese fa, durante una manifestazione sindacale. Tra ignobili urla «gli ebrei al rogo!» e «morte agli ebrei!», dal corteo sindacale era stata scaraventata una bara contro la lapide della sinagoga che riporta i nomi dei martiri del campi di sterminio e delle Fosse Ardeatine. Alle proteste contro tale aberrante, preordinato, inconcepibile episodio di delirio antisemita fu risposto in maniera sofisticata ed equivoca, naturalmente deplorandolo ma capziosamente spiegandone i moventi con la politica dello Stato d’Israele. Ennesima conferma che dall’antisionismo si passa automaticamente all’antisemitismo.

Quella bara simbolica oggi è diventata reale. Contiene un bambino crivellato di colpi, caduto insieme ad oltre trenta persone all’uscita della sinagoga.

Non può quindi meravigliare che, dopo un’indiscriminata campagna contro lo Stato e il popolo di Israele e le comunità della diaspore, dopo gli attacchi feroci ed isterici contro i cosiddetti « olocausti », stermini ed eccidi che gli israeliani avrebbero compiuto, gli ebrei di Roma si siano chiusi per due giorni in,un silenzio peraltro politicamente significativo.

In questi mesi, hanno avuto pochissimi veri amici, tra i partiti minori dello schieramento democratico. I partiti di massa, la stampa con rarissime eccezioni, la radio e la televisione di Stato in tutti i suoi canali hanno invelenito l’atmosfera e creato un terreno fertile per l’antisemitismo. Di fronte ai fatti, le lacrime esibite oggi sembrano davvero tardive.

E’ inutile affermare che In Italia, che a Roma non c’è antisemitismo. Al massimo, si può dire che non c’era mai in questa forma virulenta, perché neppure durante il fascismo, neppure durante l’occupazione nazista, furono attaccate le sinagoghe come è accaduto a Milano e a Roma. Ma chi di voi ha ascoltato le radio e le televisioni private nelle scorse settimane è rabbrividito di fronte alla incredibile quantità di testimonianze d’odio antisemita. Ancor più inquietante il fatto che, a parte la radio e la televisione dei radicali, ben poche trasmittenti private ribattevano e combattevano questo livore.

Dopo la tragedia dell’altro ieri, i giornali, le radio — e teletrasmissioni — le dichiarazioni di uomini politici sono unanimemente solidali con gli ebrei, ma non c’è giornale, né radio, né televisione, né uomo po¬litico che abbia detto: « Una parte, sia pur minima e in¬diretta, della responsabilità di quanto è accaduto ce l’ho anch’io! ».

Perciò noi accusiamo:

1) II Ministero degli Interni e i dirigenti delle forze dell’ordine per non aver apprestato dispositivi difensivi nel ghetto e intorno alla sinagoga, malgrado fossero stati insistentemente richiesti, a seguito delle continue minacce dirette agli ebrei. (Durante una cerimonia in sinagoga) è stato osservato che l’Italia manda i suoi bersaglieri in Libano per proteggere i palestinesi, ma non protegge i cittadini ebrei italiani;

2) il mondo cattolico per il modo pomposo in cui ha ricevuto Arafat in Vaticano e per aver quasi ignorato che il massacro nei campi palestinesi è stato compiuto da cristiani, mentre all’esercito di Israele può essere ascritta, se provata la sola colpa di una corresponsabilità morale,

3) la classe politica e sindacale, con ben poche eccezioni, da alcune delle massime autorità dello Stato ai leaders di molti partiti e a numerosi amministratori locali, per il comportamento tenuto durante la visita di Arafat a Roma, per la gara di strette di mano, di abbracci, di baci, di relative accoglienze fraterne verso il capo di un’organizzazione che, se oggi si presenta con un ramoscello d’ulivo, nel passato ha perpetrato innumeri stragi terroristiche contro Israele e contro gli ebrei, e non ha ancora riconosciuto il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, anzi anche ultimamente ha confermato di volere non la pace, ma una « guerra santa»;

4) la stampa e la radiotelevisione che, salvo rare eccezioni, hanno distorto fatti e opinioni, confondendo volutamente lo Stato di Israele con la politica del suo attuale governo, con il popolo e le comunità ebraiche, determinando un clima incandescente, entro il quale si è inserita la strage dell’altro giorno;

5) i molti, moltissimi intellettuali, giornalisti o meno, che in questi mesi si sono divertiti ad esaminare i risvolti psicologici, le «malattie» di Israele, i moventi segreti della politica di Begin e di quella dei suoi oppositori, facendo sfoggio di elucubrazioni e sofismi tutti adducenti, magari contro il loro proposito, all’antisemitismo. :

Noi accusiamo. In un mondo sconvolto dalla violenza, con 30.000 persone al giorno che muoiono per fame, i nostri mezzi di informazione di massa hanno dato il massimo rilievo solo alle azioni dell’esercito israeliano. I morti in Afganistan, i morti in Iran, i morti in Siria, le decine di morti in Libano dopo l’arrivo dei palestinesi, i bambini della Galilea bombardati, questi morti non valgono, e anche i terroristi palestinesi sono considerati mansueti, pacifici: avevano immensi arsenali di armi in Libano, ma solo per giocare. Signori consiglieri regionali, provinciali e comunali; noi siamo sinceramente commossi dalle manifestazioni di solidarietà emerse in quest’aula. Lo siamo come ebrei romani, e lo siamo ancor più in quanto cittadini italiani che sanno come l’antisemitismo sia un preciso sismografo della civiltà di un paese.

Nessuno ci chieda di distinguerci dal popolo di Israele, di accettare una differenziazione manichea tra ebrei e israeliani. Noi apparteniamo al popolo di Israele che comprende le comunità disperse in ogni parte del mondo, a cominciare dalla più antica, quella di Roma, e la comunità di coloro che hanno fatto ritorno alla terra degli avi. Inoltre, lo Stato di Israele, indipendentemente dal giudizio che possiamo dare sul suo governo, vale per un’altra ragione: perché è uno Stato democratico esemplare.

In quale altro Stato sarebbe ammesso che militari, anche di alto grado, rifiutassero di combattere una guerra di cui non condividono le finalità e, invece di essere processati e fucilati per tradimento, sono tranquillamente mandati a casa?

In quale democrazia in stato di guerra si istituirebbe una commissione d’inchiesta sul comportamento dell’esercito?

In quale democrazia in stato di guerra si potrebbe svolgere una manifestazione di 400.000 persone che protestano contro la guerra, senza alcun atto repressivo da parte del potere?

E concludo. L’antisemitismo è esistito per duemila anni, non dal 1948, dalla proclamazione dello Stato di Israele. Non crediamo all’antisionismo filosemita: è una contraddizione in termini.

Abbiamo espresso con franchezza la nostre accuse. Siamo preoccupati, allarmati come ebrei, come antifascisti, come democratici, come uomini della sinistra. L’antisemitismo, come tutti avete affermato, è un segnale inequivocabile di corrosione democratica. Ebbene, in Italia, a Roma l’antisemitismo emerge in forme inedite nella storia del nostro paese. Era un segnale già chiaro sei anni fa, ma oggi esplosivo. Insieme, teniamone conto e corriamo ai ripari.

(Fonte: Il Tempo, 11 Ottobre 1982)

«Il Manifesto, testata che perde la testa quando parla di Israele»

«Il Manifesto, testata che perde la testa quando parla di Israele»

Water Map of Israel and the Territories – Adapted from “Water and War in the Middle East,” Info Paper No. 5, July 1996, Centre for Policy Analysis on Palestine/The Jerusalem Fund, Washington, DC

da Tempi – 31 luglio 2008 – di Yasha Reibman

Il Manifesto, “quotidiano comunista”, è riconosciuto per la grande ironia ed efficacia che contraddistingue le prime pagine. Ironia e intelligenza che sembra perdere drammaticamente quando parla di Israele. Qualche giorno fa, titolava “Apartheid dell’acqua”. Un richiamo alla discriminazione razziale contro i neri del regime razzista bianco sudafricano, dove c’erano due categorie di cittadini e le persone di colore non potevano entrare negli stessi locali dei bianchi e nemmeno sedersi vicini sugli autobus. Cosa avrà fatto di così terribile Israele? Lo stato ebraico è accusato di dare tanta acqua agli israeliani e poca ai palestinesi e di farla pagare a prezzi diversi (ah, il rapporto tra ebrei e denaro!).

Questa è pura discriminazione, devono aver pensato alla redazione del Manifesto. E quindi hanno titolato sull’apartheid. Un paragone terribile. Eppure, il redattore responsabile del titolo avrebbe potuto leggersi tutto l’articolo: la quantità di acqua che Israele deve dare ai palestinesi è stabilita dagli accordi di Oslo del 1993, che Israele non solo rispetta, ma fornisce addirittura più acqua di quella prevista. Inoltre Israele non fa pagare l’acqua in modo diverso ai propri cittadini arabi ed ebrei, non si tratta di una discriminazione tra cittadini di uno stesso stato, ma la differenza di prezzo viene fatta tra i cittadini del proprio stato e quelli di uno diverso. E’ come se la Francia vendesse agli italiani la corrente elettrica a un prezzo maggiore di quanto la fa pagare ai cittadini francesi. Dov’è lo scandalo? Il lettore del Manifesto viene dunque ingannato.

Non viene nemmeno proposta una semplice riflessione. Dal 1993 al 2008 la dirigenza palestinese che ha fatto per dare acqua ai palestinesi? Ha costruito a Gaza centrali per desalinizzare l’acqua del mare? Ha migliorato gli acquedotti per collegarsi meglio a quelli israeliani, giordani o egiziani? Domande purtroppo retoriche, i soldi sono serviti per le armi e gli esplosivi dei terroristi.

Friends of Israel

Francesco Caruso dona soldi ai terroristi dell’Achille Lauro

Francesco Caruso dona soldi ai terroristi dell’Achille Lauro

La vittima in carrozzina di quegli “eroi”

F. B. per “L’espresso” – Poco prima di decadere da deputato, il leader no global Francesco Caruso ha visitato in carcere un terrorista condannato all’ergastolo per il dirottamento della Achille Lauro e gli ha donato dei soldi. Il ‘visitato speciale’ si chiama Khalid Husain, numero di matricola ‘AAQ29600854’ ed è un palestinese di 78 anni appena trasferito d’urgenza, per motivi ignoti, dal carcere di Parma a quello di Benevento. Sottoposto a regime di massima sicurezza, il 15 marzo Husain ha ricevuto la visita dell’onorevole Caruso, convinto che la sua condanna in contumacia sia ingiusta.

Il 29 marzo, secondo quanto risulta dai documenti visionati da ‘L’espresso’, Caruso ha versato in contanti alla Casa circondariale di Benevento la somma di 450 euro per Husain. Una cifra di per sé non certo elevata, ma che equivale sostanzialmente alle spese di sopravvitto che il palestinese sostiene mediamente nell’arco di cinque mesi. Husain intanto sta scrivendo un libro per difendersi e vorrebbe la riapertura del processo. Chissà che un giorno non possa restituire quei soldi al generoso Caruso.

Liberali per Israele

La sinistra italiana prevenuta contro Israele

Lettera al Corriere della Sera

La sinistra italiana prevenuta contro Israele

Caro Severgnini,

cattolica non praticante da tempo, passo parte delle mie vacanze in Israele e ho rapporti amichevoli con moltissimi ebrei, israeliani o no. Sono idealmente di sinistra, anche se la sinistra italiana non mi piace proprio: sarei una laburista blairiana se fosse possibile. Tra i gravissimi errori della mia parte politica annovero l’assurda polemica nei confronti di Israele fatta di ideologia disinformata e preconcetta. Come ignorare che 60 anni or sono l’Onu istituì due Stati: quello israeliano e quello palestinese ma – mentre gli israeliani non persero tempo e si organizzarono – i palestinesi non accettarono la risoluzione Onu? Come non capire che per fare la pace occorrono due parti e che la parte palestinese ha dimostrato con i fatti di non essere disposta a una soluzione pacifica? Un’occupazione è di sicuro qualcosa di molto spiacevole per il popolo dei territori occupati ma che altro potrebbe fare Israele? Molto difficile o – addirittura – impossibile sarebbe ritirarsi dai territori salvaguardando – al tempo stesso – la propria sicurezza. Sono convinta – e lo dico con cognizione di causa – che la maggior parte degli israeliani sono favorevoli alla nascita di uno Stato palestinese, ma non sono sicura che anche i palestinesi lo siano. La nostra sinistra – purtroppo – è impostata male su una piagnucolosa morale di pietismo facile e questo non le fa onore proprio perché – paradossalmente – lascia a una destra ben poco democratica la difesa dell’unico Paese democratico del Medio Oriente.
Cordiali saluti,
Brunella Galante

(Corriere della Sera, 28 maggio 2008 )

D’Alemmah parla ancora di politica estera….

Governo: D’Alema, rischio è irrilevanza Italia all’estero

(ANSA) – 12:18 – Roma, 22 mag -“Io credo che il rischio vero, al quale è esposto il nostro Paese, sia quello dell’irrilevanza. E penso che un’Italia che si precludesse il dialogo con il mondo arabo, così come viene prospettato, non serva a nessuno, né ad Israele né all’Occidente”. E’ il timore espresso dall’ex ministro degli Esteri Massimo D’Alema, in un’intervista a ‘L’Unita” in cui spiega come sia necessario proseguire i contatti avviati con Hamas.

“Tutto questo – sostiene D’Alema – non perché ci piaccia Hamas, ma perché vi è consapevolezza che solo coinvolgendo Hamas si possa raggiungere la pace”. Quanto ai rapporti tra l’Italia del governo Prodi e gli Usa, D’Alema rivendica di aver sempre avuto “rapporti corretti e leali con gli americani, improntati all’amicizia e alla collaborazione ma anche alla franchezza”.

Frattini: “Con Hamas non si tratta, dissento da D’Alema”

M.O./ FRATTINI: CON HAMAS NON SI TRATTA, DISSENTO DA D’ALEMA

“Quello di Israele è un diritto assoluto a esistere in sicurezza”

Roma, 12 mag. (Apcom) – “A differenza di D’Alema e di Prodi, resto contrario a trattare con Hamas”. Lo dichiara il ministro degli Esteri Franco Frattini in un’intervista a ‘Controcorrente’ che andrà in onda stasera su SkyTg24. Il governo Berlusconi, spiega Frattini, dovrà “affermare in un modo molto più chiaro” rispetto a quello di centrosinistra che “il ruolo di Israele è un ruolo di diritto assoluto alla propria esistenza e sicurezza”.

Il titolare della Farnesina accusa, del resto, Hamas di attaccare “la polizia militare e civile palestinese”. Il conflitto israelo-palestinese è una “vicenda che va risolta nel confronto fra il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen”, secondo Frattini che usa parole di apprezzamento per l'”eccezionale lavoro” di mediazione condotto dall’Egitto.

“Il problema è evitare che ci siano quelli che sparano dall’interno del territorio occupato da Hamas (nella Striscia di Gaza, ndr) contro gli israeliani” afferma il neo-capo della diplomazia, “poi ovviamente – aggiunge – diremo ai nostri amici israeliani che fare morire i civili è sempre una tragedia”.

Dario Fo segue il solito copione pro Palestina

Dario Fo segue il solito copione pro Palestina

Il premio Nobel mette da parte il suo libro «L ‘apocalisse rinviata» e attacca Israele. Usando una lettera di Nelson Mandela

di Caterina Soffici

Torino – Dario Fo l’affabulatore, l’istrione, il «giullare di corte dell’ultrasinistra», come lo defluiva Montanelli, il pacifista, quello a cui gli Usa hanno vietato il visto d’ingresso, il nuovo crociato ecologista, ha fatto lo show che tutti si aspettavano. Accompagnato dall’inseparabile Franca Rame, hanno dato in pasto al pubblico ciò che il pubblico voleva sentirsi dire.

Fo doveva presentare il suo ultimo libro L’apocalisse rinviata (fantaecologia, dove si immagina che cosa succederà quando il petrolio finirà), pubblicato da Guanda, e invece ha parlato dell’Apocalisse Perpetua della Palestina: «Mi ha infastidito il silenzio assordante sui palestinesi». Nell’incontro più atteso della giornata con gente in coda e molti rimasti fuori, usando toni mélto pacati, per la verità, senza le solite iperboli verbali, Fo ha criticato gli organizzatori della Fiera per l’invito a Israele. La parola «boicottaggio» non è mai stata pronunciata, ma aleggiava. Fo ha detto che non parteciperà oggi alla manifestazione organizzata dai gruppi antagonisti in favore della Palestina, ma solo per problemi di salute (deve andare in ospedale e poi in tv da Crozza).

Ma il messaggio è forte e chiaro: Primo: non si può dividere la cultura e la letteratura di un popolo dalla politica del suo paese: «Prendete Shakespeare, Molière, la storia della letteratura va sempre appresso alla politica, non si può far finta di dividerle». Secondo: a Torino si è persa un’occasione di pace, perché l’invito a Israele nell’anno della celebrazione dei 60 anni della fondazione dello Stato significa umiliare i palestinesi come popolo di serie B rispetto agli ebrei, di serie A. «Israele ha tutti i diritti di essere una nazione, ma anche i palestinesi hanno diritto di vivere, o almeno di sopravvivere». Terzo: Franca Rame ha letto una lettera di Nelson Mandela al giornalista israeliano Thomas Friedman, molto dura, dove si paragona l’apartheid del Sudafrica a quanto succede in Israele e nei territori occupati parlando di discriminazione razziale e pulizia etnica: «L’apartheid è un crimine contro l’umanità, i palestinesi non lottano perché vogliono uno Stato ma per liberare le loro terre occupate nel 1967. I sondaggi dicono che unteizo degli israeliani è razzista».

Il direttore editoriale della Fiera, Ernesto Ferrero, ha preso le difese della sua iniziativa e ha a sua volta spiegato. Primo: non è stato il governo israeliano a chiedere di essere invitato, ma l’idea è partita da alcune associazione italo-israeliane. Sono stati invitati non lo Stato d’Israele e i suoi politici, ma gli scrittori. Anche gli scrittori palestinesi erano invitati, ma hanno detto di no perché Israele era il Paese ospite d’onore. Secondo: non c’è alcun intento propagandistico o celebrativo, perché non c’è niente da festeggiare con una guerra in corso che chissà quanto durerà. Questi 60 anni di Israele sono una sconfitta per tutti. Terzo: abbiamo invitato gli scrttori israeliani e la loro letteraura, la meno governativa del mondo. L’anno prossimo i cosiddetti tre tenori (Yehoshua, Grossman e Oz) saranno presenti e stringeranno la mano ai palestinesi e l’ospite d’onore sarà l’Egitto perché la letteratura è un ponte tra le culture e i libri non hanno bandiere e noi agli scrittori non chiediamo il passaporto.

La spiegazione non convince però il premio Nobel. Che parla di bambini sparati, donne massacrate, dei campi profughi palestinesi oppressi dall’esercito più potente del mondo, snocciola e legge i dati: 3.112 morti, 1.365 case abbattute, 18.500 privi di casa… Dice Fo: «Le mie critiche sono legate a quello che si può fare di meglio. Però le proteste hanno creato una tensione positiva». Dalla platea un volontario di Emergency dice: «Provate a Immaginare che cosa sarebbe successo se si fosse scelto di ospitare a pari grado con gli israeliani letterati, poeti e scrittori palestinesi». Ferrero s’indispettisce: «Qui gli invitati sono tutti alla pari. Non esistono figli e figliastri. Facciamo finta che quest’anno era un numero zero, di prova, l’anno prossimo faremo meglio».

Alla fine tutti d’accordo con la fantasia evocata da Fo: «Due Paesi e due popoli con pari dignità e allo stesso livello». Quando nel 1997 gli assegnarono il Nobel per la Letteratura, la motivazione dell’Accademia di Svezia fu «perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi». Tutto come da copione.

(Fonte: Il Giornale, 10 Maggio 2008 )