Teheran: Sit-in di studenti all’aeroporto, per andare a Gaza

Teheran: Sit-in di studenti all’aeroporto, per andare a Gaza

Vestiti con lenzuolo bianco chiedono di immolarsi per la causa

Teheran, 5 gen. (Apcom) – Una folla formata da centinaia di studenti universitari ha inscenato un sit-in all’aeroporto Mehran della capitale iraniana Teheran per chiedere alle autorità del loro Paese di partire per Gaza per sostenere sostenere il popolo palestinese e combattere Israele. Lo scrive oggi il quotidiano palestinese al Quds al Arabi che riferisce di “numerose adesioni” che starebbero “ingrossando la folla già imponente che si trova all’interno” dello scalo. Il sit-in iniziato nei giorni scorsi sarebbe tuttora in corso.

Il giornale, edito a Londra, afferma che i manifestanti si sono avvolti nell’ “Akfan”, (il sudario bianco con cui nell’Islam viene avvolta la salma dei morti) e portano le bandiere palestinesi e fotografie di Gerusalemme. La folla “grida slogan contro i crimini sionisti e contro la complicità di alcuni paesi arabi”, secondo al Quds al Arabi.

L’aeroporto Mehran era lo scalo internazionale della capitale fino a pochi mesi fa; è stato ora sostituito dall’aeroporto Khomeini, costruito a sud di Teheran.

Gli infortuni dell’Onu

PREGIUDIZI CONTRO ISRAELE

Gli infortuni dell’Onu

unvsisrael

di Angelo Panebianco

C’è una differenza fra la guerra del Libano del 2006 e l’attuale conflitto a Gaza. Questa volta, sono molti di più i governi disposti a riconoscere le ragioni di Tel Aviv. Per conseguenza, anche l’opinione pubblica internazionale, e occidentale in particolare, non si è compattamente e pregiudizialmente schierata contro Israele. I regimi arabi moderati, che temono più di ogni altra cosa le aspirazioni egemoniche dell’Iran (alleato e protettore di Hamas) mantengono, nonostante l’opposizione delle piazze, un atteggiamento prudente. La fazione palestinese moderata di Abu Mazen (sanguinosamente cacciata da Gaza, nel 2007, dai miliziani di Hamas) considera Hamas l’unica responsabile dell’attacco israeliano. Anche in Europa il vento è in parte cambiato.

I governi tedesco, italiano e dei Paesi dell’Europa orientale hanno preso chiare posizioni a favore del diritto di Israele a difendersi dai missili di Hamas. E i l Presidente Sarkozy, nonostante la tradizione francese (poco sensibile alle ragioni di Israele), sarà obbligato, nel suo prossimo tentativo di mediazione, a tenerne conto. Comincia a farsi strada la consapevolezza che fra le molte asimmetrie del conflitto c’è anche quella rappresentata dal diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana. Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli israeliani, le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il più possibile le ingiurie alla popolazione civile anche se, naturalmente, la natura del conflitto esclude che essa non sia coinvolta. L’attacco dell’esercito, appena iniziato, volto a bloccare definitivamente Hamas, è stato a lungo ritardato. Tra le ragioni del ritardo c’era anche il timore per l’alto costo in vite di civili che l’attacco potrebbe comportare.

Insomma, di fronte alla complessità del problema e alla diffusa consapevolezza che non si può negare a uno Stato il diritto di difendersi da un’organizzazione di fanatici votati alla distruzione di quello stesso Stato, c’è questa volta, in giro, meno voglia di dare addosso pregiudizialmente a Israele. Ma con un’eccezione di assoluto rilievo: le Nazioni Unite. Richard Falk, «relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi», rappresentante dell’Human Rights Council (Consiglio per i diritti umani) delle Nazioni Unite, sta usando la sua carica, e la sponsorizzazione dell’Onu, per fare propaganda pro-Hamas e antisraeliana. Le sue tesi «sull’aggressione israeliana » a Gaza sono esattamente le stesse di Hamas. Il caso di Richard Falk è interessante perché ci aiuta a capire come vengano trattati i «diritti umani» alle Nazioni Unite. Ebreo americano, già professore di diritto internazionale a Princeton, Falk è quello che in America si definisce un radical. E dei più accesi. Fra le sue molte imprese si possono ricordare il suo giudizio entusiasta sull’Iran di Khomeini (un «modello per i Paesi in via di sviluppo», lo definì arditamente nel 1979) e i suoi dubbi, alla Michael Moore, sulla «verità ufficiale» americana sull’11 settembre. Nel 2007 paragonò la politica israeliana verso i palestinesi a quella della Germania nazista nei confronti degli ebrei. È persona non grata in Israele.

La nomina di Falk (con il voto contrario degli Stati Uniti), nel marzo 2008, a rappresentante per i territori palestinesi del Consiglio per i diritti umani, un organismo dominato da Paesi islamici e africani, ebbe un solo scopo: quello di predisporre un corpo contundente da usare contro Israele. È un altro clamoroso infortunio dell’Onu. Dopo quello che, alcuni anni fa, portò la Libia, nella generale incredulità, alla presidenza della Commissione per i diritti umani (poi abolita). Se l’Onu si occupasse seriamente di diritti umani dovrebbe mettere sotto accusa un bel po’ dei propri Stati membri, ossia tutti gli Stati autoritari o totalitari (dalla Cina a quasi tutti i regimi del mondo musulmano). Ma non può farlo. In compenso, i diritti umani vengono spesso usati come proiettili per colpire le democrazie occidentali e Israele. Anche se creare una «Lega delle democrazie» è risultato fino ad oggi impossibile, un maggiore coordinamento fra i Paesi democratici in sede di Nazioni Unite sarebbe quanto meno auspicabile. Al fine di imporre a certi suoi organismi comportamenti più decorosi. Nonostante il credito di cui l’Onu continua a godere, è un fatto che, nelle crisi internazionali, sanno spesso muoversi con maggiore credibilità, pur con le loro magagne e imperfezioni, i governi delle democrazie. Per lo meno, devono rispondere del proprio agire alle loro opinioni pubbliche e hanno comunque (non c’è Guantanamo che tenga) carte più in regola degli altri anche in materia di diritti umani.

(Fonte: Corriere della Sera, 4 Gennaio 2009 )

I mediatori introvabili

IL CASO TARIQ RAMADAN

I mediatori introvabili

Tariq Ramadan, un personaggio ambiguo inspiegabilmente considerato da molti un moderato.....

Tariq Ramadan, un personaggio ambiguo inspiegabilmente considerato da molti un moderato.....

di Ernesto Galli Della Loggia

Mediazione, mediazione: come sempre in ogni crisi israelo- palestinese anche questa volta, da parte delle opinioni pubbliche europee, dei loro giornali e delle loro cancellerie, è tutto un invocare la necessità di una mediazione. Politici e osservatori accreditati si affannano a sottolineare che bisogna trovare a tutti i costi una mediazione, individuare un punto d’incontro. Esigenza sacrosanta. Se non fosse per un piccolo particolare: perché ci sia una mediazione deve esserci qualcuno con cui mediare, vale a dire qualcuno non solo convinto dell’opportunità di un accordo basato sul do ut des, ma che dia garanzie di voler lui stesso per primo rispettare un tale accordo, nonché di poter farlo rispettare a chicchessia. La crisi mediorientale non ha mai trovato una soluzione perché finora da parte araba una figura, un’autorità, una cultura del genere, sono sempre mancate.

Israele si trova dunque periodicamente confrontato militarmente da forze radicali—un tempo era Fatah, ora è Hamas dietro cui si scorge il potente alleato iraniano—le quali si prefiggono né più né meno che la sua eliminazione (Hamas auspica anche l’eliminazione di tutti gli ebrei dalla faccia della terra), senza che però si trovi mai nel mondo islamico qualche leader o qualche governo importanti, qualche voce autorevole, in grado di condannare recisamente e pubblicamente, prima ancora che la ferocia, il nullismo politico suicida del radicalismo. Dai colloqui riservati di queste ore, ad esempio, trapela che la maggioranza dei paesi arabi giudica assolutamente sbagliata la linea terroristica di Hamas, ne condanna la politica di divisione del fronte palestinese, l’intolleranza fondamentalista. Ma nessuno di essi ha il coraggio di gridarlo con forza e di schierarsi apertamente contro. Il perché si sa: perché quei governi hanno paura di essere travolti, complice il terrorismo, dalle rispettive popolazioni, conquistate da tempo a un antiisraelismo cieco e violento, nutrito spessissimo di antisemitismo.

Ogni mediazione è impossibile sulla questione israelo-palestinese perché la rende impossibile la cultura politica diffusa tra le grandi masse del mondo arabo, abituate ad apprezzare solo il radicalismo bellicista. Per convincersene basta leggere l’articolo scritto ieri sul Riformista da un noto intellettuale arabo, Tariq Ramadan, incautamente accreditato da molti democratici europei di una presunta ragionevolezza che lo candiderebbe, si dice, a prezioso interlocutore in vista della nascita di un Islam europeo. Ebbene, un articolo, quello di Ramadan, tutto improntato a una grottesca unilateralità: su Hamas neppure una parola, tutti i governi israeliani, di qualunque colore, «mentono, giustiziano sommariamente gli oppositori, non danno pressoché nessun peso alle morti di civili», mentre i palestinesi di Gaza sono vittime di «genocidi» (sic) «approvati dall’80 per cento degli israeliani». E così via, in un delirio «antisionista » che lo stesso direttore del giornale, il bravo Antonio Polito, ha duramente stigmatizzato come frutto di puro «odio verso Israele». E’ la definizione giusta. Ma se questo è quello che scrive un intellettuale islamico in piena dimestichezza con la cultura occidentale, figuriamoci cosa pensano e dicono gli altri: e figuriamoci quale mediazione possa mai venir fuori in un contesto del genere.

(Fonte: Corriere della Sera, 3 Gennaio 2009 )

L’ipocrisia della sproporzione

L’ipocrisia della sproporzione

Una "obiettiva" presa di posizione da parte di uno dei tanti benpensanti che infestano le nostre città....

Una “obiettiva” presa di posizione da parte di uno dei tanti benpensanti che infestano le nostre città…

I pregiudizi dell’opinione pubblica mondiale

Davanti a un conflitto, l’opinione pubblica si divide tra coloro che hanno deciso chi ha torto e chi ha ragione e coloro che valutano con cautela tale o tal’altra azione come opportuna o inopportuna, anche a costo di rinviare il loro giudizio.

Lo scontro di Gaza, per quanto sanguinoso e terrificante, lascia trasparire tuttavia uno spiraglio di speranza che le immagini drammatiche troppo spesso nascondono. Per la prima volta in un conflitto in Medio Oriente, il fanatismo del partito preso appare in minoranza. Il dibattito in Israele («È questo il momento giusto? Fino a che punto arrivare? Fino a quando? ») si svolge come di consueto in democrazia. Quale sorpresa constatare che un dibattito assai simile divide, a microfoni aperti, anche i palestinesi e i loro sostenitori. A tal punto che Mahmoud Abbas, capo dell’Autorità palestinese, subito dopo l’inizio della rappresaglia israeliana, ha trovato il coraggio di imputare a Hamas la principale responsabilità della tragedia dei civili a Gaza, per aver rotto la tregua.

Le reazioni dell’opinione pubblica mondiale — i media, la diplomazia, le autorità morali e politiche — sembrano purtroppo in ritardo sugli sviluppi dei diretti interessati. A questo proposito non si può far a meno di notare un termine assai ricorrente, a ribadire un’intransigenza di terzo tipo, che condanna urbi et orbi l’azione di Gerusalemme come «sproporzionata ». Un consenso universale e immediato sottotitola le immagini di Gaza sventrata dai bombardamenti: la reazione di Israele è sproporzionata. Cronache e analisi non perdono tempo a rincarare la dose: «massacri », «guerra totale». Per fortuna, si è evitato finora il termine «genocidio». Il ricordo del «genocidio di Jenin» (60 morti), ripetuto ossessivamente e poi screditato, è ancora capace di frenare gli eccessi? Tuttavia la condanna incondizionata e a priori della reazione esagerata degli israeliani regola ancora oggi il flusso delle riflessioni. Consultate il primo dizionario sotto mano: è sproporzionato ciò che non è in armoniosa proporzione rispetto alle altre parti, oppure non corrisponde, di solito per eccesso, al giusto o al dovuto, pertanto risulta eccessivo, esagerato, spropositato. È il secondo significato che viene accolto per fustigare le rappresaglie israeliane, giudicate eccessive, incongruenti, sconvenienti, che oltrepassano ogni limite e ogni regola. Sottinteso: esiste uno stato normale del conflitto tra Israele e Hamas, oggi scombussolato dall’aggressività dell’esercito israeliano, come se il conflitto non fosse, come tutti i conflitti, sproporzionato sin dall’origine. Quale sarebbe la giusta proporzione da rispettare per far sì che Israele si meriti il favore dell’opinione pubblica? L’esercito israeliano dovrebbe forse rinunciare alla sua supremazia tecnologica e limitarsi a impugnare le medesime armi di Hamas, vale a dire la guerra approssimativa dei razzi Grad, la guerra dei sassi, oppure a scelta la strategia degli attentatori suicidi, delle bombe umane che prendono di mira volutamente la popolazione civile? O, meglio ancora, non sarebbe preferibile che Israele pazientasse saggiamente finché Hamas, per grazia di Iran e Siria, non sarà in grado di «riequilibrare » la sua potenza di fuoco?

A meno che non occorra portare allo stesso livello non solo i mezzi militari, ma anche gli scopi perseguiti. Poiché Hamas — contrariamente all’Autorità palestinese — si ostina a non riconoscere allo Stato ebraico il diritto di esistere e sogna l’annientamento dei suoi cittadini, non sarebbe il caso che Israele imitasse questo spirito radicale e procedesse a una gigantesca pulizia etnica? Si vuole veramente che Israele rispecchi, in misura proporzionale, le ambizioni sterminatrici di Hamas?

Non appena si va scavare nei sottintesi del rimprovero ipocrita di «reazione sproporzionata », ecco che si scopre fino a che punto Pascal aveva ragione, e «chi vuol fare l’angelo, fa la bestia». Ogni conflitto, che covi sotto la cenere o in piena eruzione, è per sua natura «sproporzionato ». Se i contendenti si mettessero d’accordo sull’impiego dei loro mezzi e sugli scopi rivendicati, non sarebbero più avversari. Chi dice conflitto, dice disaccordo, di qui lo sforzo da una parte e dall’altra di giocare le proprie carte e di sfruttare le debolezze del rivale. L’esercito israeliano non ci pensa due volte ad «approfittare » della sua superiorità tecnologica per centrare i suoi obiettivi. E Hamas non fa da meno, ricorrendo alla popolazione di Gaza come scudo umano senza lasciarsi nemmeno sfiorare dagli scrupoli morali e dagli imperativi diplomatici del suo antagonista. Non si può lavorare per la pace in Medio Oriente se non ci si sottrae alle tentazioni di chi ragiona in base a pregiudizi o ad opinioni preconcette, che assillano non solo i fanatici oltranzisti, ma anche le anime pie che fantasticano di una sacrosanta «proporzione», capace di riequilibrare provvidenzialmente i conflitti. In Medio Oriente, non si combatte soltanto per far rispettare le regole del gioco, ma per stabilirle. È lecito discutere liberamente dell’opportunità di questa o quella iniziativa diplomatica o militare, senza tuttavia presumere che il problema venga risolto in anticipo dalla mano invisibile della buona coscienza mondiale. Non è un’idea «spropositata» voler assicurare la propria sopravvivenza.

André Glucksmann (Traduzione di Rita Baldassarre)

(Fonte: Corriere della Sera, 3 Gennaio 2009 )

Sfilano i pacifinti: e le bandiere bruciano….

Proteste anche a Londra, Parigi, Washington, Kabul (dove nessuno ha avuto da ridire la settimana scorsa per l’attentato contro uno scuolabus che ha causato la morte di almeno 14 bambini….mah!)

Corteo a Milano, a fuoco bandiere Israele

Prima della partenza bruciate in piazza alcune bandiere israeliane. Ad aprire il corteo un gruppo di manifestanti con in mano delle scarpe a simboleggiare l'atto compiuto dal giornalista iracheno che ha lanciato la proria calzatura contro il presidente degli Usa George Bush (Salmoirago)

Prima della partenza bruciate in piazza alcune bandiere israeliane. Ad aprire il corteo un gruppo di manifestanti con in mano delle scarpe a simboleggiare l'atto compiuto dal giornalista iracheno che ha lanciato la proria calzatura contro il presidente degli Usa George Bush (Salmoirago)

Manifestazioni pro-Gaza anche a Roma e altre città: in alcuni striscioni la Stella di David equiparata a svastica

Uno striscione con la stella di Davide e la svastica nazista a Milano (Salmoirago)

Uno striscione con la stella di Davide e la svastica nazista a Milano (Salmoirago)

MILANO – Migliaia di persone sono scese in piazza, nonostante il maltempo, in 15 città italiane per manifestare solidarietà al popolo di Gaza, aderendo alla giornata di mobilitazione promossa dal Forum Palestina. La manifestazione più imponente a Roma, mentre a Milano ci sono stati dei momenti di tensione: sono state date alle fiamme bandiere israeliane e urlati slogan contro i governi americano e israeliano.

BRUCIATE BANDIERE – A Milano il lungo corteo contro l’intervento israeliano nella Striscia di Gaza era aperto da giovani palestinesi: alcuni avevano degli striscioni con la Stella di David sormontata dalla svastica e sono state date alle fiamme bandiere israeliane e lanciati slogan contro Israele e gli Stati Uniti. Presenti esponenti di Rifondazione comunista. Alcuni iracheni avevano in mano delle scarpe, diventate un simbolo dopo il lancio contro Bush da parte di un giornalista tuttora in carcere. Una volta giunto in piazza San Babila, dove avrebbe dovuto sciogliersi, il corteo ha invece proseguito lungo corso Matteotti per arrivare in piazza Duomo, dove un migliaio di manifestanti ha occupato la zona antistante il sagrato.

ROMA – A Roma alcuni manifestanti avevano bandiere degli Stati Uniti con su disegnate una svastica e una stella di David. Tra gli slogan: «Giù le mani dai bambini», «Bush-Barack assassini» e «Intifada fino alla vittoria». Portate in corteo fotografie di bambini e donne feriti a Gaza. Il corteo, formato da qualche migliaio di persone, è ndato oltre piazza Barberini, dove doveva concludersi, per proseguire scortato dalle forze dell’ordine verso piazza del Popolo. «Chiediamo di fermare il massacro e la carneficina che sta avvenendo a Gaza – ha detto Sergio Cararo del Forum Palestina -, inoltre diciamo basta all’impunità di Israele e all’informazione manipolata che in questi giorni sta raccontando una falsa verità». I partecipanti avevano bandiere palestinesi e di Rifondazione comunista.

TORINO – Anche a Torino c’è stata una manifestazione contro l’intervento militare di Israele. Il presidio organizzato dall’assemblea Free Palestine a Porta Palazzo si è trasformato in un corteo spontaneo. I partecipanti hanno raggiunto l’associazione Italia-Israele dove c’è stato un lancio di uova. Alla manifestazione, scandita dal grido «Israele assassino», hanno partecipato molti immigrati di origine araba. Presidio di protesta anche a Trento, nella piazza del Duomo.

VICENZA – Cinquemila, secondo gli organizzatori, i partecipanti al corteo di Vicenza. Tanti gli stranieri, circa l’80% dei partecipanti, provenienti da tutto il Veneto. Il corteo, sfilato al grido di «assassini, assassini», è stato tenuto sotto controllo da un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine e dal servizio predisposto dagli organizzatori. Decine gli striscioni esposti dai manifestanti: «Fermiano il massacro di Gaza», «Quanti morti ci vogliono per fermarli?», «Uno Stato libero per i palestinesi» e «Gaza libera, comunque Intifada fino alla vittoria». Alcuni cartelli riportavano gigantografie di massacri, bombardamenti, distruzioni e morti.

BOLOGNA – A Bologna sono scese in piazza circa mille persone, in maggioranza stranieri, che hanno concluso la manifestazione pregando insieme davanti alla basilica di San Petronio in piazza Maggiore. Il corteo era aperto dai bambini per sottolineare che i bombardamenti israeliani mietono molte vittime innocenti. All’iniziativa hanno aderito alcuni centri sociali e alcuni esponenti di Rifondazione comunista. È stata bruciata una bandiera di Israele e sono stati esposti striscioni con la stella di David equiparata alla svastica. La manifestazione si è fermata per alcuni minuti davanti alla Prefettura per chiedere un intervento del governo italiano.

NEL MONDO – Migliaia di persone sono scese in piazza in diverse città del mondo contro i bombardamenti israeliani a Gaza. A Londra i manifestanti (5omila secondo gli organizzatori) hanno lanciato scarpe contro la griglia metallica che impedisce l’accesso a Downing Street. Alla guida del corteo l’ex cantante degli Eurythmics Annie Lennox e l’ex sindaco di Londra Ken Livingstone. A Parigi 25mila persone (secondo gli organizzatori) hanno sfilato per le strade gridando «Basta al massacro, sanzioni contro Israele», «Gaza siamo tutti con te» e «Israele assassino». Presenti Marie-George Buffet, segretario del Partito comunista francese, e il leader della Lega comunista rivoluzionaria Olivier Besancenot. A Berlino, sono scese in piazza 7.500 persone, 4 mila a Dusseldorf. Migliaia in piazza ad Atene e Salonicco. A Madrid un migliaio in piazza. Ad Amsterdam i manifestanti, 5mila secondo gli organizzatori, portavano striscioni invitando a boicottare i prodotti israeliani. Più di 2.300 persone hanno sfilato a Salisburgo, in Austria. Negli Usa c’è stato un corteo a Washington. A Kabul, in Afghanistan, centinaia di persone hanno partecipato a una marcia di protesta e a Jalalabad più di 400 persone hanno protestato contro il mancato intervento delle Nazioni Unite.

03 gennaio 2009

Corriere.it

Per visionare altre foto delle varie manifestazioni cliccare qui

Nuovo gruppo FACEBOOK di FOCUS ON ISRAEL

354970682_511b570ab91Per tutti quelli che volessero approfondire la discussione, prendendo spunto dai nostri articoli, da oggi SIAMO ANCHE sul famoso sito di social networking FACEBOOK. Puoi iscriverti direttamente da qui.  Il passaparola è ovviamente bene accetto.

Pacifisti o pacifinti?

Le contraddizioni dei pacifisti danneggiano la pace

La pace secondo i pacifinti

La pace secondo i pacifinti

Mi chiedo da un po’ di tempo chi sono i pacifisti. Se si tratti davvero di difensori della pace o di qualcos’altro. La risposta che mi sono dato è che a loro della pace non interessa nulla. Anzi essi sono attratti solo dalle guerre. O meglio da certe guerre, e in particolare da chi le fa certe guerre. I pacifisti si muovono solo quando le guerre vedono protagonisti gli Stati Uniti e Israele. Non si vedono pacifisti protestare contro la dittatura di Mugabe in Zimbabwe, andare nel Nord Kivu per fare gli scudi umani nella guerra civile del Congo e nelle altre guerre dell’Africa dimenticata. Perché andare in quei luoghi significa non avere alcuna visibilità magari rischi anche di morirci. Ai pacifisti non interessa il dramma del Darfur. Nè i massacri e le persecuzioni che i cristiani subiscono in India e nei paesi arabi. Loro sono razionali e razionalisti e non hanno tempo da perdere con chi si va a complicare la vita per una fede religiosa. Che poi non sarebbe altro che sciocca superstizione. Loro non bruciano la bandiera dell’Iran in cui essere omosessuali è un reato che ti può costare la vita. A bruciare spesso è la bandiera di Israele. E questo gli unisce a quel fine intellettuale di Ahamadinejad che vorrebbe che quello stato non esistesse neppure.

Difendere la pace significherebbe andare in Kashmir e fare in modo che India e Pakistan non si scannino più per un lembo di territorio di confine. O mobilitarsi in occasione di attentati come quello di Mumbai. O condannare il regime castrista e quello cinese per le continue violazioni dei diritti umani. La pace non conosce latitudini : è tale in tutte le parti del mondo. Ma ai pacifisti il concetto di pace non interessa. Essi hanno trasformato la pace in un -ismo. Il pacifismo è un ideologia, come il capitalismo, il comunismo, lo jihadismo. Essa ha i suoi dogmi di cui i pacifisti sono i gelosi custodi. Sacerdoti consacrati all’antiamericanismo e all’antisionismo che talvolta si tramuta in antisemitismo ( sempre altri -ismi), sono estremamente selettivi sia riguardo agli obiettivi da difendere sia ai tempi in cui concentrare il proprio impegno.

le bandiere bruciate sono sempre le stesse…

Torino, 1° Maggio 2008: le bandiere di Israele e degli USA vengono bruciate alla fine del corteo organizzato da Free Palestine

La pace non fa clamore. Difendere la pace avrebbe significato muoversi mesi prima dello scoppio della crisi contro Siria e Iran che rifornivano di armi Hamas. O fare sit in di protesta nella zona di confine tra Gaza ed Egitto dove anche le pietre sanno che passano armi e munizioni destinate poi ad essere rivolte contro gli ebrei. Nulla di tutto questo è avvenuto. Perché non se li sarebbe filati nessuno. Anzi rischiavano di finire in qualche prigione palestinese per ostacolo ai piani di Hamas. E perchè loro parteggiano per i palestinesi sempre e comunque; sia che a guidarli ci sia il corrotto Arafat che metteva i soldi degli aiuti nei suoi conti all’estero invece di usarli per costruire scuole o ospedali per la sua gente, sia che ci siano quei razzisti, omofobi e misogini di Hamas.

Ma la pace a differenza del pacifismo non conosce partigianeria. La pace è semplicemente un’altra cosa

Animale (a)sociale

Il pregiudizio antisraeliano dell’ONU non conosce vergogna…..

Evidentemente nel Palazzo di Vetro non sanno che lo Stato di Israele si è ritirato completamente dalla Striscia di Gaza dall’estate del 2006….delle due l’una: o non conoscono la storia (neanche quella recente…) o sono in malafede. In entrambi i casi non risultano credibili….ma questa purtroppo per Israele non è una novità

GAZA: PRESIDENTE ASSEMBLEA ONU, AGGRESSIONE SENZA RITEGNO

Il Palazzo di Vetro dell'ONU a New York, il luogo dove il pregiudizio antisraeliano ha ormai la residenza ufficiale

Il Palazzo di Vetro dell'ONU a New York, il luogo dove il pregiudizio antisraeliano ha ormai la residenza ufficiale

Roma, 11:52 – “Il comportamento di Israele nel bombardare Gaza e’ semplicemente un atto di aggressione senza ritegno da parte di uno Stato molto potente verso un territorio che occupa illegalmente. E’ giunto il momento di intervenire con fermezza se l’Onu non vuole essere giustamente accusato di complicita’ per omissione. Gli attacchi aerei israeliani sulla striscia di Gaza rappresentano gravi e smisurate violazioni del diritto umanitario internazionale, cosi’ come definito dalle convenzioni di Ginevra, sia per quanto riguarda gli obblighi di una potenza occupante sia per le disposizioni delle leggi di guerra”. Lo afferma Miguel d’Escoto Brockmann, Presidente dell’Assemblea generale dell’Onu. La dichiarazione e’ rilanciata dall’agenzia missionaria cattolica Misna.

Repubblica.it

Il signor D’Alemmah colpisce ancora….

Come sempre la cecità politica di questo personaggio che, ahinoi, ha ricoperto la carica di Ministro degli Affari Esteri italiani dimostrando in quella circostanza la sua totale parzialità a favore del terrorismo islamico antisraeliano, non permette alla Sinistra italiana di risultare credibile agli occhi dell’opinione pubblica israeliana. E non solo a quella…….

Gaza/ D’Alema critica Frattini e ‘apre’ ad Hamas, Pdl lo attacca

dalemafat

Mentre si crea clima bipartisan su iniziativa Ue per tregua

Roma, 30 dic. (Apcom) – Massimo D’Alema interviene in Parlamento sulla crisi in Medioriente e sulla necessità di coinvolgere Hamas nelle trattative per la pace suscitando immediate critiche da parte del centrodestra. Parole, quelle dell’ex ministro degli Esteri, che segnano una distinzione anche all’interno del Partito democratico, dove, ad esempio, il ministro ombra, Piero Fassino, ha un atteggiamento molto meno flessibile verso l’organizzazione islamica che controlla la Striscia di Gaza.

La ‘batteria’ di critiche a D’Alema arriva dentro e fuori la sala dove si è svolta la comunicazione del ministro degli Esteri Franco Frattini. Pochi i leader politici presenti ad ascoltarlo in questa giornata di vigilia della fine dell’anno, ma l’ex vicepremier è tra i primi ad arrivare e il primo a prendere la parola dopo Frattini, il cui intervento definisce “contradditorio”. “E’ difficile sostenere l’azione dell’Egitto e allo stesso tempo l’intervento militare israeliano – osserva -. Dobbiamo liberarci da contraddizioni che rendono meno limpido il discorso politico”.

“Un anno di negoziati non ha portato a risultati sostanziali malgrado il solenne impegno americano – rileva ancora D’Alema -. Bush aveva promesso che entro la fine del suo mandato sarebbe stato raggiunto un accordo di pace, ma a tutt’oggi non ce n’è traccia”. Per questo “serve un’iniziativa forte per ridare voce alla leadership palestinese, ma allo stesso tempo non bisogna dimenticare che Hamas è un movimento politico che ha vinto elezioni democratiche, è una forza che raccoglie un vasto consenso e per questo non è possibile non coinvolgerlo” in qualsiasi tipo di trattativa.

E mentre in un clima bipartisan tutte le forze politiche apprezzano l’iniziativa europea per un cessate il fuoco e per l’invio di osservatori internazionali che permettano di riavviare il processo di pace, sulle parole di D’Alema è duro il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, che giudica “grave l’apertura di D’Alema ad Hamas che è una organizzazione di terroristi, con la quale non vogliono avere rapporti nemmeno le autorità della Palestina”. E con lui Gaetano Quagliariello, Isabella Bertolini, Daniele Capezzone. A difendere l’ex ministro degli Esteri l’ulivista Franco Monaco secondo il quale la sua è “una rara voce che non si unisce al coro, che non si sottrae a circostanziati giudizi politici, una voce per nulla estremistica ma in sintonia con Onu, Ue, Vaticano. L’amicizia per Israele non ci esonera dal dovere di parlar chiaro, di giudicare sproporzionata la sua azione militare”.

Capezzone (Pdl): Clima anti-israeliano su media italiani

Gaza/ Capezzone (Pdl): Clima anti-israeliano su media italiani

Daniele Capezzone, portavoce del Pdl

Daniele Capezzone, portavoce del Pdl

“In troppi fingono di non sapere che Hamas è terrorista”

Roma, 28 dic. (Apcom) – C’è un “preoccupante e grave clima anti-israeliano su media italiani”, secondo Daniele Capezzone, Pdl, portavoce di Forza Italia.

“E’ preoccupante e grave il permanere di un clima anti-israeliano su molti media italiani”, afferma Capezzone in un comunicato. “In troppi, ancora, fingono di non sapere che Hamas è una feroce organizzazione terroristica; che Hamas ha rotto la tregua con i suoi attacchi; e che anche tanti stati arabi più ragionevoli si augurano un’affermazione di Israele e un conseguente ridimensionamento di Hamas. Sarebbe ora che anche in Italia questo clima e questa ostilità nei confronti di Israele finissero”.