Gaza – Minacce a giornalisti: non seguite celebrazioni Fatah

M.O./ MINACCE A GIORNALISTI ANP: NON SEGUITE CELEBRAZIONI FATAH
Telefonate minatorie in vista del 43esimo anniversario del gruppo

Gaza City, 31 dic. (Ap) – Alcuni giornalisti di Gaza hanno ricevuto telefonate minatorie anonime notturne, con le quali sono stati ammoniti a non occuparsi degli eventi organizzati dal partito Fatah del presidente Abu Mazen per il 43.esimo anniversario della formazione politica.

I reporter di almeno cinque media locali e stranieri hanno ricevuto le telefonate minatorie la notte scorsa e questa mattina all’alba. I giornalisti hanno chiesto la tutela della loro privacy, temendo reali ritorsioni da parte degli esponenti di Hamas, sospettati di essere gli autori delle minacce.

Al Fatah aveva organizzato per domani una grande manifestazione a Gaza, subito dichiarata illegale da Hamas, che controlla la Striscia. Il partito del presidente ha quindi reso noto che il gruppo potrebbe rinunciare al corteo e celebrare la ricorrenza con l’accensione di fuochi d’artificio e candele alle finestre delle abitazioni.

Intanto almeno 70 esponenti di al Fatah sono stati arrestati negli ultimi giorni dalla sicurezza di Hamas, che ha smentito di avere compiuto azioni repressive nei confronti del gruppo rivale.

Alice News

Egitto: pellegrini palestinesi danno fuoco a campi d’ospitalità

M.O./ MILLE PELLEGRINI PALESTINESI DANNO FUOCO A CAMPI IN EGITTO

Chiedono rientro nei territori, evitando di passare per Israele

El Arish, 31 dic. (Ap) – Più di mille pellegrini palestinesi hanno dato fuoco questa mattina ai campi temporanei allestiti in Egitto per ospitarli fino a quando non sarà deciso come farli tornare nella Striscia di Gaza. I pellegrini, di ritorno da un viaggio alla Mecca, non intendono fare ritorno nei territori attraverso Israele.

I palestinesi sono rientrati dal pellegrinaggio alla Mecca (Arabia Saudita) a bordo di due navi partite dal porto giordano di Aqaba e, con 11 autobus, sono stati trasferiti nei campi temporanei allestiti nella città di el Arish, nella regione del Sinai. Fin dal loro arrivo i pellegrini palestinesi hanno intonato cori di rabbia contro il presidente egiziano Hosni Mubarak e il suo governo, rei di non avere permesso loro di raggiungere Gaza attraverso il valico di Rafah, sul quale Israele non ha alcun controllo. La protesta ha provocato l’intervento di decine di agenti che hanno circondato i pellegrini e isolato l’area.

I pellegrini respingono la richiesta delle autorità egiziane di “impegnarsi per iscritto” ad accettare di rientrare nella Striscia di Gaza da un punto di passaggio israeliano, come esige il governo israeliano al fine di controllarli. Una circostanza che consentirebbe, eventualmente, l’arresto di una decina di esponenti di Hamas, che si trovano fra loro, tra i quali uno dei leader del gruppo, Khalil al Haya. Mubarak ha detto che il suo governo sta facendo tutto il possibile trovare una soluzione in tempi brevi.

A metà dicembre, questi palestinesi erano stati autorizzati dal Cairo a lasciare la Striscia di Gaza per la Mecca dal punto di transito di Rafah, alla frontiera con l’Egitto, pur essendo questo valico chiuso da quando il movimento islamico Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza, in giugno.

Il governo israeliano ha allora protestato, preoccupato che membri di gruppi armati in lotta contro Israele possano intrufolarsi tra i pellegrini per andare ad addestrarsi all’estero, ricevere ordini o recuperare armi. I pellegrini pretendono ora di rientrare nella Striscia di Gaza dallo stesso passaggio di Rafah. “I pellegrini hanno confermato che rifiutano di rientrare se non dal passaggio di Rafah, dal quale sono partiti” ha dichiarato un portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, nel corso di una conferenza stampa a Gaza.

In attesa che il problema sia risolto, le autorità egiziane hanno deciso di sistemare i pellegrini nello stadio di El Arish e in accampamenti provvisori in questa città. Centinaia di uomini delle forze di sicurezza egiziane sono state schierate nella zona, ha aggiunto il funzionario. I pellegrini “non vogliono rischiare di essere fermati dalla sicurezza israeliana, poichè numerosi palestinesi sono stati fermati o arrestati ai passaggi sotto controllo israeliano” ha dichiarato, da parte sua, un portavoce di Hamas.

Hamas ha chiesto all’Egitto di autorizzare i pellegrini a rientrare a Gaza attraverso Rafah, sostenendo che l’accettazione di ogni altra soluzione costituirebbe una resa davanti a ciò che ha definito “la pressione americana e sionista”. Nel frattempo, circa 7.000 manifestanti si sono radunati presso il versante palestinese del valico di Rafah, mostrando bandiere e vessilli di Hamas e invocando il ritorno dei pellegrini. Da parte loro, le autorità israeliane restano in attesa degli eventi ma continuano a chiedere il ritorno dei pellegrini palestinesi attraverso il valico di Aouja, dove possono essere controllati.

Alice News

Israele prende sul serio le minaccie di Al Qaida

Israele prende sul serio le minacce di Al Qaida

”Non si tratta di una minaccia virtuale, il pericolo e’ concreto” ha detto un responsabile dei servizi israeliano riferendosi all’ultimo messaggio di Osama Bin Laden. In particolare la minaccia sembra essere rivolta verso gli israeliani abituati a trascorrere le vacanze in Turchia. In quel Paese, secondo indiscrezioni riportate dalla stampa, sarebbero entrate cellule di al-Qaida intenzionate a colpire obiettivi israeliani.

In passato i servizi segreti israeliani hanno affermato che al-Qaida e’ attiva anche nel Sinai egiziano e, in forma ancora per ora embrionale, nella striscia di Gaza. A causa della concretezza delle minacce, l’ingresso di israeliani nel Sinai e’ ”molto sconsigliato” dai servizi di sicurezza.

Agenzia Radicale

Hamas minaccia Israele: ‘Se attentasse a vita di Haniyeh sarebbe terremoto’

Hamas lancia un monito a Israele

haniyeh.jpg

‘Se attentasse a vita di Haniyeh sarebbe terremoto’

(ANSA) – GAZA, 31 DIC – ‘Se Israele attentasse alla vita di Haniyeh sarebbe un terremoto’ dice il portavoce delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas. ‘Se un atto del genere fosse realizzato, dopo che Israele avesse ricevuto la autorizzazione di Washington – ha aggiunto Abu Obaida – noi useremmo tutti mezzi a nostra disposizione, anche quelli non utilizzati finora’. In ogni caso la reazione di Hamas si esprimerebbe ‘solo in Palestina’, non all’estero.

31 Dic 12:54

Gaza: “Usiamo Google Earth per colpire Israele”

Ma il portavoce della Jihad islamica smentisce: ”Abbiamo carte già disegnate”

M.O., a Gaza ”usiamo Google Earth per colpire Israele”

gerusalemme_google_earth-200x150.jpgLo rivela Falangi Salahuddin, portavoce dell’ala armata dei Comitati di Resistenza popolare palestinese. ”I nostri uomini lo usano per individuare le cittadine israeliane e lanciare i razzi con precisione”

Gaza, 31 dic. – (Adnkronos/Aki) – Le fazioni palestinesi di Gaza utilizzerebbero il software ‘Google Earth’ per individuare e colpire con precisione le città israeliane con i razzi al-Quds e al-Qassam.

L’ipotesi è formulata da Abu Mujahid, portavoce delle Falangi Salahuddin, ala armata dei Comitati di Resistenza popolare, che – in un’intervista alla tv satellitare ‘Al Arabyia’ – ha affermato che “i nostri uomini usano il programma denominato ‘Google Earth’ per individuare le cittadine israeliane e lanciare i razzi con precisione. Questo programma facilita il nostro lavoro ma non è l’unico strumento utilizzato per compiere i nostri attacchi”.

Secondo Abu Mujahid la versione di questo programma realizzata nel 2007 è stata utilizzata dai suoi miliziani che sarebbero riusciti a superare l’ostacolo rappresentato dalla ‘cancellazione’ dalle mappe elettroniche degli obiettivi sensibili israeliani, effettuata per motivi di sicurezza.

Non a caso a lanciare l’allarme contro il pericolo rappresentato da Google Earth per la sicurezza israeliana è stato proprio in passato il quotidiano ‘Hareetz’ secondo il quale “ora il programma è stato evoluto tanto che ogni pixel corrisponde da uno a due metri quadrati, mentre in passato corrispondeva a 20 o 30 metri quadrati”.

Abu Ahmad, portavoce dell’ala armata della Jihad islamica, sostiene invece che i suoi uomini non usano questo programma ma disporrebbero di carte già disegnate mentre per Abu al-Walid, portavoce delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, braccio armato di al-Fatah, Google Earth è solo uno strumento secondario tra i tanti usati dalle milizie palestinesi. “L’utilizzo di questo programma è un problema secondario – spiega – in realtà il vero problema è che non abbiamo modo di guidare la testa del razzo fino all’obiettivo individuato. Certo con Google Earth possiamo individuare con precisione una zona ma poi, quando lanciamo il missile, questo può cadere nel raggio di 300 metri quadri intorno all’obiettivo”.

Adnkronos

«L’antisionismo, copertura dell’antisemitismo»

Corriere della Sera – NAZIONALE –
sezione: Esteri – data: 2007-03-20 num: – pag: 19
autore: Davide Frattini categoria: REDAZIONALE

abraham-b-yehoshua.jpg

L’intervento dello scrittore israeliano a New York: «È possibile criticare le azioni dello Stato ebraico senza identificarle col movimento che l’ha fondato»

«L’antisionismo, copertura dell’antisemitismo»

L’accusa di Yehoshua: «Ormai se ne serve chi vuole attaccare gli ebrei»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

GERUSALEMME «Sionismo è diventato una parolaccia ovunque nel mondo. Gli ebrei non possono più essere aggrediti pubblicamente, così chi vuole attaccarci dice di essere antisionista. Una posizione che si è trasformata in una copertura per l’antisemitismo». Lontano da casa, Abraham B. Yehoshua ha usato il palco di una conferenza a New York per difendere ancora una volta il Paese che ha lasciato dall’altra parte dell’Oceano. Anche perché, come ha detto in un altro incontro del tour americano, «il sionismo è stato fondato da scrittori».

E da scrittore militante ha parlato più di politica che di letteratura: «È ovviamente possibile criticare le azioni e la condotta di Israele. Si può valutare e condannare la strategia dei governi. Ma non si può identificarla con il sionismo». Yehoshua suggerisce di trovare una definizione «ristretta» per il progetto nazionalista immaginato da Theodor Herzl alla fine dell’Ottocento: «È un sostenitore di questa idea chiunque creda che lo Stato d’Israele appartenga non solo ai suoi cittadini ma al popolo ebraico».

Parla di idea e non di ideologia: «Puoi essere un sionista fascista, un sionista comunista, un sionista religioso». Lo scrittore, 71 anni, è convinto che limitare i significati della parola aiuterebbe a ridurre gli attacchi, «soprattutto dal mond o arabo»: «Hassan Nasrallah, il leader degli Hezbollah, non cita Israele. Passa il tempo a ripetere “i sionisti, i sionisti, i sionisti…”».

Era la prima volta che Yehoshua parlava a un pubblico americano, dal discorso del maggio 2006 che aveva fatto infuriare gli ebrei statunitensi, quando aveva proclamato che «solo chi risiede in Israele può vivere in modo totalmente ebraico. Per voi essere ebrei è come indossare e togliersi una giacca, per noi è la pelle».

All’evento di New York, organizzato dall’associazione Dor Chadash, ha voluto chiarire il suo commento: «In Israele dobbiamo affrontare questioni morali che gli ebrei della Diaspora non sono costretti a prendere in esame. Mandare qualcuno in guerra o cacciare altri ebrei dalle loro case, com’è successo agli insediamenti della Striscia di Gaza, nell’estate del 2005». Ha spiegato quel termine «totale», che dieci mesi fa era stato preso come un’offesa: «Quando dico che voi siete parziali, non intendo affermare che noi siamo migliori e voi peggiori». Allo stesso tempo ha ripetuto il messaggio che già allora aveva causato la polemica: «Quello che voglio consigliarvi è che se la totalità è importante per voi, allora dovete venire a vivere in Israele, perché la realtà è là e non qua».

Il dibattito attorno al sionismo si è riaperto anche in Israele, quando un gruppo di intellettuali arabi ha proposto una «costituzione» per dividere i poteri e il controllo del governo tra maggioranza e minoranze. Il documento immagina uno Stato «bilingue e multiculturale» e cancella la definizione di «ebraico».

Gadi Taub, filosofo che insegna all’università di Gerusalemme, ha attaccato la sinistra (da elettore laburista) per aver «svalutato l’idea di identità nazionale». Più che criticare gli arabi israeliani, Taub se la piglia con i partiti come Meretz e i quotidiani alla Haaretz, «quella sinistra post-sionista che si sente bella e virtuosa e che ogni anno si ritrova in piazza Rabin, come se fosse l’unico movimento a volere la pace e la giustizia»: «Il vero democratico, come capirono i rivoluzionari americani e francesi, è un patriota ed è il patriottismo che permette di estendere il diritto di voto».

Gaza: Hamas nega a Fatah la possibilità di celebrare il proprio anniversario

Messaggio per Fatah: No Hamas, No Party

hamasfatah1sc2.jpg

Al-Fatah, il movimento legato al presidente palestinese Abu Mazen, non potrà celebrare quest’anno a Gaza la ricorrenza della propria fondazione, che ricorre il primo gennaio. Lo ha reso noto un portavoce della polizia palestinese a Gaza, che è sotto il controllo di Hamas. Jamal Jarrah, questo il nome del portavoce, ha affermato che non si tratta di una decisione di carattere politico ma di ordine pubblico. Nel novembre scorso finì nel sangue una imponente manifestazione di al-Fatah a Gaza in ricordo dell’ex presidente Yasser Arafat. “La polizia di Gaza è decisa a impedire che si ripetano nuove violenze”, ha detto Jarrah.

Un ufficiale di Fatah, da parte sua, ha accusato Hamas di agire nella Striscia di Gaza come una “forza d’occupazione”, una definizione, questa, che i Palestinesi riserbano solo ad Israele. “Il divieto non indebolira’ Fatah. Al contrario, questa e’ una scelta che rendera’ Fatah ancora piu’ popolare”.

Bennauro

Anp: sciolte le Brigate dei Martiri di al-Aqsa

A volte basta cambiare il nome…

M.O./ ANP: SCIOLTE BRIGATE MARTIRI AL-AQSA
Ministro Abdul Razak Yehya: milizia Fatah non esiste piu’

Roma, 29 dic. (Apcom) – Le Brigate dei Martiri di al-Aqsa, la milizia di Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, non esistono piu’. A comunicarlo questa mattina ai microfoni di radio Voce della Palestina, e’ stato il ministro dell’interno Abdul Razak Yahya, confermando le indiscrezioni che circolavano da alcuni giorni.

“Siamo riusciti nel nostro intento – ha detto Yahya – e speriamo di poter arrivare presto allo scioglimento di tutte le milizie in modo da ricreare condizioni di ordine e tranquillita’ nelle strade delle nostre citta’”. Il ministro ha espresso l’auspicio che gli ex miliziani di Fatah e quelli delle altre fazioni consegnino tutte le armi in loro possesso.

Le Brigate dei Martiri di al-Aqsa erano nate all’inizio dell’Intifada in risposta all’uccisione di diversi palestinesi avvenuta sulla spianata delle moschee di Gerusalemme in seguito ad un tour nel luogo sacro dell’allora capo dell’opposizione israeliana Ariel Sharon. Fino a qualche anno fa sono state assieme al braccio armato di Hamas, Ezzedin Qassam, protagoniste di numerosi attacchi e attentati a danni di Israele e dei coloni ebrei nei Territori palestinesi sotto occupazione militare.

Lo scorso giugno Abu Mazen aveva invitato i miliziani del suo partito a cedere le armi e a rientrare nella vita civile, in cambio dell’amnistia offerta loro da Israele. Da allora centinaia di giovani armati di Fatah hanno consegnato le armi alle autorita’ palestinesi. Sei mesi dopo il ministro dell’interno Yehya ha annunciato lo scioglimento ufficiale della milizia, soddisfacendo in parte il piano di pace Road Map che impone ai palestinesi di smantellare le milizie armate e i gruppi terroristici.

Non tutti i militanti delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa pero’ hanno rispettato l’ordine giunto da Abu Mazen e, secondo alcune fonti, questi dissidenti sarebbero dietro la ripresa degli attacchi a soldati e coloni israeliani che si e’ registrata in queste ultime settimane in Cisgiordania. Hamas e Jihad islamica da parte loro accusano Abu Mazen di voler “zittire la resistenza” senza aver ottenuto la fine dell’occupazione militare israeliana e la nascita di uno Stato palestinese indipendente.

Yehya stamani ha aggiunto che il suo ministero sta lavorando alla formazione di forze di sicurezza ben addestrate ed equipaggiate, in vista della fondazione di uno Stato palestinese. A gennaio decine di cadetti dell’accademia di polizia palestinese verranno inviati a studiare in Egitto e Giordania. “La Russia ci ha donato 50 veicoli blindati che, dopo l’approvazione data da Israele, il prossimo mese arriveranno ad Amman e subito dopo entreranno in Cisgiordania”, ha concluso.

Alice News

Osama Bin Laden minaccia Israele, Jihad con i palestinesi

Dubai, 22:59
TERRORISMO: BIN LADEN MINACCIA ISRAELE, JIHAD CON PALESTINESI

Osama bin Laden si impegna a schierarsi al fianco dei palestinesi contro Israele: “Estenderemo (alla palestina) la nostra guerra santa (jihad)”, afferma il fondatore di al Qaeda in un nastro audio diffuso su internet. “Intendiamo liberare i palestinesi, l’intera palestina dal fiume (Giordano) al mare”, ha aggiunto minacciando “sangue per sangue, distruzione per distruzione”, e avvertendo che al Qaeda, “non riconoscera’ mai agli israeliani un pollice di terreno come hanno fatto (invece) altri leader musulmani”. Il nastro, intitolato “come sventare la cospirazione (usa)”, dura 56 minuti. L’audio era stato preannunciato due giorni fa. Oltre alle minaccia esplicite allo Stato ebraico Bin Laden ha nuovamente invitato i sunniti a unirsi a al Qaeda, boicottando il progetto americano di formare un governo di unita’ nazionale con sciiti e curdi. “Quanti lo faranno volgeranno le spalle all’Islam”, perche’ questo esecutivo, secondo Osama, sarebbe solo uno strumento degli americani per rubare il petrolio di Baghdad e per costruire nuove basi militari nel Paese e dominare la regione. Serve “a dare agli americani tutto il petrolio iracheno che vogliono”, afferma bin Laden nel messaggio. Durissimo anche contro l’Arabia Saudita, la sua patria adottiva: “Il governo di Riad sta ancora giovando il suo ruolo perverso”. Le ultime dichiarazioni di bin Laden risalivano al 29 novembre scorso quando il fondatore di al Qaeda chiese agli europei di rompere con gli Usa.

Repubblica.it

Libano, verità scomode

Edizione 275 del 15-12-2007

Libano, verità scomode

Da Teheran, “Nel 2006 Hezbollah ha perso”
di Dimitri Buffa

L’Iran ha licenziato Hassan Nasrallah dal suo incarico di capo militare degli Hezbollah. Perché: “Ha perso la guerra con Israele nel sud del Libano e quest’anno ci è costato oltre un miliardo di dollari”. Queste parole attribuite all’ayatollah iraniano Ali Khamenei e riportate da numerosi giornali arabi tra cui Al Shark al Awsat costituirebbero la spiegazione del siluramento. Che oltretutto risalirebbe allo scorso agosto e sarebbe stato tenuto segreto per non dare armi propagandistiche ai numerosi nemici dell’organizzazione terroristica in Libano. L’importanza di questa notizia, volutamente ignorata dai media italiani ed europei, non sfugge a quanti avevano mal digerito la vera e propria esultanza con cui gli analisti politically correct avevano salutato la presunta sconfitta israeliana nella guerra del luglio e agosto 2006 nel Sud del Libano. Per due motivi: il primo è che sia i terroristi Hezbollah sia gli Iraniani sono consapevoli che non ci fu alcuna vittoria contro Israele; il secondo è che la pubblicazione di questa storia sui giornali arabi implica un’ammissione sulla direzione esterna da parte di Teheran di tutte le iniziative armate anti-israeliane in Medio Oriente, da Gaza al Libano.

Circostanza che porta acqua al mulino di chi chiede una politica più dura contro il Teheran. Nell’articolo di Al Shark al Awsat si legge tra l’altro che, nel corso di un’ispezione dei pasdaran iraniani tenutasi lo scorso agosto, sarebbero emerse forti carenze nel settore militare degli Hezbollah. Tanto che è stata esplicitamente chiesta una rendicontazione delle spese sostenute. La fonte di Al Shark al Awsat spiega anche che ci sarebbero forti divergenze sull’utilizzo di quei 400 milioni di dollari annui che Hezbollah riceve da Teheran e che dall’anno scorso sono stati aumentati sino a un miliardo dopo i danni provocati dall’azione israeliana. Con questi fondi gli Hezbollah non solo hanno ricostruito i palazzi distrutti a Sud di Beirut e realizzato nuovi insediamenti strategici, ma avrebbero anche comprato appezzamenti di terra nelle zone montuose e nelle regioni a prevalenza cristiana. Tra le righe si capisce che ci potrebbero essere sospetti da parte iraniana di malversazioni e di distrazioni di fondi per uso personale. E in ogni caso la temerarietà dell’attacco a Israele avrebbe messo il regime degli ayatollah in difficoltà economiche.

Opinione.it