Roma:al corteo pro-Palestina slogan contro Israele. I giovani ebrei: «Parole ignobili»

Roma: al corteo pro-Palestina slogan contro Israele. I giovani ebrei: «Parole ignobili»

Il Corteo pro-Palestina di Roma

Il Corteo pro-Palestina di Roma

ROMA (29 novembre) – Si è svolto oggi a Roma un corteo organizzato dal Forum Palestina, in occasione del 60° anniversario della Giornata internazionale per la Palestina sancita dall’Onu nel 1948. In testa al corteo una enorme chiave di cartone, simbolo del «Diritto al ritorno» dei circa 3,5 milioni dei profughi palestinesi sancito da una Risoluzione dell’Onu. «Tutti quelli che hanno lasciato la Palestina a cominciare dal ’48 hanno conservato le chiavi delle loro case ma sul diritto al ritorno Israele ha posto un veto sui negoziati», ha affermato Sergio Cararo, del Forum Palestina.

Slogan contro Israele. Nei cori i manifestanti hanno chiesto l’abbattimento del muro sorto sul territorio di Israele e rivendicato il diritto al ritorno dei palestinesi nei territori lasciati circa 60 anni fa. Al corteo sono però stati urlati anche slogan contro Israele: «Israele assassina, giù le mani dalla Palestina» e «l’antisionismo non è un reato».

Giovani ebrei: slogan ignobili. «Si tratta di slogan ignobili, figli di una propaganda ben precisa. È triste sentire gridare certe cose il giorno dopo la morte di sei israeliani avvenuta per mano di terroristi a Mumbai in India», hanno commentato i giovani della Comunità ebraica di Roma, che hanno raggiunto piazza Venezia per ascoltare gli interventi conclusivi della manifestazione. I giovani della Comunità si sono allontanati dopo poco affermando che gli «slogan scanditi dai manifestanti sono un insulto soprattutto alla memoria di chi ieri ha perso la vita per il semplice fatto di essere ebreo».

Il Messaggero

L’Onu dà il via alla stagione contro Israele

Edizione 254 del 25-11-2008

Antisionismo: l’Onu dà il via alla stagione contro Israele

unvsisrael

di Dimitri Buffa

Sabato l’Onu “celebrerà” con sei nuove condanne anti israeliane l’annuale giornata dedicata ai palestinesi. Ogni 29 novembre il rito si ripete mentre in molte capitali europee, a cominciare da Roma, i soliti brucia bandiere no-global, di estrema destra o di estrema sinistra, daranno sfogo ai propri bassi istinti in manifestazioni di odio diventate ormai di repertorio. Quest’anno la novità è che lo stato ebraico sta meditando di rinunciare a difendersi davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite: “costa troppo ed è inutile mettersi contro qualcosa premeditato a tavolino dalla Lega Araba e dai tanti Stati dittatoriali e autocratici che ci odiano”, ha detto al Jerusalem Post un importante “senior diplomat”. Aggiungendo: “tanto vale che li facciamo sfogare così, ormai l’opinione pubblica è con noi e giudica queste risoluzioni Onu poco meno di niente”. Nonostante tutto però, Gabriella Shalev, l’ambasciatrice israeliana all’Onu, svolgerà il proprio discorso di difesa degli interessi di Israele durante la giornata del 29 novembre. Ma molte Ong vicine allo stato ebraico, come Un Eye, giudicano ormai con scetticismo ogni iniziativa ufficiale all’interno del Palazzo di Vetro: “questa giornata del 29 novembre non è in realtà un appuntamento che serve a ricordare al mondo che esiste la questione dei palestinesi e del loro eventuale futuro Stato, ma è solo un memorandum d’agenda con cui i Paesi arabi, con l’appoggio Onu, ricordano all’umanità che loro continuano a ritenere illegittimo lo Stato di Israele, la sua fondazione e il suo ostinarsi ad esistere”.

Come si diceva, in molte capitali europee, a cominciare da Roma, i soliti guastatori ed esperti di odio e di oltraggio alla bandiera israeliana sono già pronti per un sabato indimenticabile. A Roma, segnatamente, Forum Palestina menerà le danze e già dai primi di ottobre mandava appelli in rete in cui tra l’altro si rivendicava la bontà del boicottaggio tentato (ma non riuscito) al Salone del Libro di Torino la scorsa estate. Condendo il tutto con apprezzamenti non molto lusinghieri sul nostro Capo dello Stato che invece a quel Salone ha dato il patrocinio. Adesso è stata promossa anche un’altra subdola campagna di boicottaggio economico (che peraltro in tempi di crisi come questi equivale a comportarsi come quei mariti cornuti che si castrano per far dispetto alla moglie), quella contro le aziende italiane ed europee che fanno affari con Israele. Naturalmente per chi fa affari con l’Iran quelli di Forum Palestina non hanno mai usato simili premure. A Roma il loro manifesto recita: “invitiamo tutti a manifestare con noi: per la fine dell’occupazione israeliana della Palestina, per uno Stato palestinese sovrano con Gerusalemme capitale, per il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, come previsto dalla risoluzione Onu 184, per la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, per lo smantellamento del regime di apartheid e delle colonie israeliane, per lo smantellamento dell’assedio imposto alla Striscia di Gaza, per la revoca degli accordi di cooperazione militare Italia-Israele e per il ritiro delle truppe dai vari teatri di guerra”. Anche quest’anno la stagione di caccia all’ebreo e all’israeliano si riapre quindi puntualmente sotto l’egida Onu.E gli antisemiti mascherati da antisionisti, per usare le parole di Napolitano, in questa maniera si sentiranno legittimati più che mai a inneggiare al terrorismo. Sicuramente più di quanto si sentano legittimati gli israeliani ad avere un proprio Stato.

L’Opinione.it

Roma: scontri tra studenti di destra e sinistra a Piazza Navona

ROMA, SCONTRI TRA STUDENTI DESTRA E SINISTRA A PIAZZA NAVONA

scontri tra studenti a Piazza Navona

29 Ottobre 2008: scontri tra studenti a Piazza Navona

Roma, 29 Ottobre 2008 12:29 – Piazza Navona si e’ trasformata in campo di battaglia per gli scontri tra i ragazzi del blocco studentesco e gli studenti universitari di sinistra arrivati dalla Sapienza. Nella parte di piazza continua a piazza delle cinque lune sono volati tavolini e sedie di bar mentre in diversi punti della piazza si vedono ragazzi feriti e sanguinanti cercare di medicarsi come meglio possono. Alcuni a viso coperto si sono difesi con manici di piccone ed e’ servito l’intervento in forze di polizia e carabinieri per riportare la calma.

Repubblica.it

Per guardare altre foto degli scontri cliccare qui

L’ ex terrorista rosso che ora nega l’ Olocausto

Germania Il fondatore della Raf accusato di incitamento all’ odio razziale

Mahler, da terrorista rosso a ideologo dei neonazisti

Horst Mahler

Horst Mahler

Sotto processo per aver negato l’ Olocausto. Intervistato sugli anni della Raf da un politico-giornalista ebreo, lo salutò con il braccio teso: «Heil Hitler»

BERLINO – Una vita contro l’ establishment, quella di Horst Mahler: agli estremi. Ai peggiori estremi. Nel 1970 tra i fondatori della Rote Armee Fraktion, il gruppo terrorista tedesco guidato da Andreas Baader e Ulrike Meinhof. In questi giorni, sotto processo per aver negato l’ Olocausto.

Una parabola tragica, quella dell’ avvocato di 72 anni: ha attraversato la storia della Germania moderna per lasciare una scia di furore ideologico. Le accuse che il tribunale di Potsdam, vicino a Berlino, gli muove sono di negazionismo e di Volksverhetzung, in sostanza incitamento all’ odio razziale, in Germania ambedue punite dalla legge.

Tra il 2000 e il 2004, ha sostenuto con scritti su Internet che Auschwitz è un’ invenzione degli ebrei. Rischia cinque anni. Bisogna però dire che la prigione, per lui, non è mai stata un deterrente. Anzi, forse lo esalta. Nato nel 1936, nel 1964 fonda a Berlino Ovest il suo studio di avvocato. Si avvicina ai movimenti extraparlamentari. Sono anni forti nella città da poco divisa in due dal Muro. Quando, nel 1968, il leader del movimento studentesco, Rudi Dutschke, subisce un tentativo di omicidio, Mahler è all’ avanguardia della protesta violentissima contro il gruppo editoriale Springer, indicato dalla sinistra non parlamentare come mandante. Diventa amico di Baader e della sua compagna Gudrun Ensslin e, quando il primo è arrestato, nel 1970, lo aiuta a scappare di prigione. I tre, più la Meinhof, vanno in Giordania, alla scuola militare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Fondano la Raf. Mahler torna in Germania nell’ ottobre ‘ 70, viene arrestato e, nel 1974, condannato a 14 anni.

In carcere, dove intanto erano finiti anche i suoi tre compagni, scrive un manifesto, che però è criticato dai membri della Raf. Viene di fatto espulso. È solo. Nei pensieri e nelle decisioni. Nel 1975, il Movimento 2 giugno, altro gruppo terroristico di Berlino, rapisce Peter Lorenz, politico cristiano-democratico, e tra le altre cose chiede la liberazione di Mahler. Che però la rifiuta. In compenso, si procura un ottimo avvocato, certo Gerhard Schröder, socialdemocratico che farà carriera. Il futuro cancelliere riesce a farlo liberare in anticipo, nel 1980 (nel 1988 lo farà anche reintegrare nella professione).

Quelli successivi, sono anni di riflessione, probabilmente. Di sicuro, di cambiamento. Quando ritorna in pubblico, nel 1997, in occasione del 70° compleanno del filosofo Günter Rohrmoser, lo fa con un discorso in cui sostiene che la Germania «è occupata», che deve liberarsi dei suoi debiti morali, che deve ritrovare la sua identità nazionale. Un anno dopo, scrive un articolo in cui sostiene la fusione di populismo, spiritualismo e antisemitismo. Nel 2000 entra nell’ Npd, il partito neonazista tedesco, lo difende con successo contro il governo Schröder che tenta di metterlo fuorilegge, e lo abbandona nel 2003. Intanto, manda le email negazioniste, sostiene che gli attacchi dell’ 11 settembre sono giustificati, fonda la Società per la riabilitazione dei perseguitati per avere confutato l’ Olocausto.

Nel 2004 viene condannato per istigazione all’ odio razziale, nel luglio scorso per avere fatto il saluto romano mentre entrava in carcere per il reato precedente. Nel 2006, gli viene revocato il passaporto per impedirgli di andare a Teheran alla Conferenza sulla revisione dell’ Olocausto.

Un anno dopo, intervistato sugli anni della Raf da un politico-giornalista ebreo, lo saluta con il braccio teso: «Heil Hitler, Herr Friedman». Tristemente incontenibile.

Danilo Taino

(Fonte: Corriere della Sera, 10 Ottobre 2008, pag. 19)

«Il Manifesto, testata che perde la testa quando parla di Israele»

«Il Manifesto, testata che perde la testa quando parla di Israele»

Water Map of Israel and the Territories – Adapted from “Water and War in the Middle East,” Info Paper No. 5, July 1996, Centre for Policy Analysis on Palestine/The Jerusalem Fund, Washington, DC

da Tempi – 31 luglio 2008 – di Yasha Reibman

Il Manifesto, “quotidiano comunista”, è riconosciuto per la grande ironia ed efficacia che contraddistingue le prime pagine. Ironia e intelligenza che sembra perdere drammaticamente quando parla di Israele. Qualche giorno fa, titolava “Apartheid dell’acqua”. Un richiamo alla discriminazione razziale contro i neri del regime razzista bianco sudafricano, dove c’erano due categorie di cittadini e le persone di colore non potevano entrare negli stessi locali dei bianchi e nemmeno sedersi vicini sugli autobus. Cosa avrà fatto di così terribile Israele? Lo stato ebraico è accusato di dare tanta acqua agli israeliani e poca ai palestinesi e di farla pagare a prezzi diversi (ah, il rapporto tra ebrei e denaro!).

Questa è pura discriminazione, devono aver pensato alla redazione del Manifesto. E quindi hanno titolato sull’apartheid. Un paragone terribile. Eppure, il redattore responsabile del titolo avrebbe potuto leggersi tutto l’articolo: la quantità di acqua che Israele deve dare ai palestinesi è stabilita dagli accordi di Oslo del 1993, che Israele non solo rispetta, ma fornisce addirittura più acqua di quella prevista. Inoltre Israele non fa pagare l’acqua in modo diverso ai propri cittadini arabi ed ebrei, non si tratta di una discriminazione tra cittadini di uno stesso stato, ma la differenza di prezzo viene fatta tra i cittadini del proprio stato e quelli di uno diverso. E’ come se la Francia vendesse agli italiani la corrente elettrica a un prezzo maggiore di quanto la fa pagare ai cittadini francesi. Dov’è lo scandalo? Il lettore del Manifesto viene dunque ingannato.

Non viene nemmeno proposta una semplice riflessione. Dal 1993 al 2008 la dirigenza palestinese che ha fatto per dare acqua ai palestinesi? Ha costruito a Gaza centrali per desalinizzare l’acqua del mare? Ha migliorato gli acquedotti per collegarsi meglio a quelli israeliani, giordani o egiziani? Domande purtroppo retoriche, i soldi sono serviti per le armi e gli esplosivi dei terroristi.

Friends of Israel

Francesco Caruso dona soldi ai terroristi dell’Achille Lauro

Francesco Caruso dona soldi ai terroristi dell’Achille Lauro

La vittima in carrozzina di quegli “eroi”

F. B. per “L’espresso” – Poco prima di decadere da deputato, il leader no global Francesco Caruso ha visitato in carcere un terrorista condannato all’ergastolo per il dirottamento della Achille Lauro e gli ha donato dei soldi. Il ‘visitato speciale’ si chiama Khalid Husain, numero di matricola ‘AAQ29600854’ ed è un palestinese di 78 anni appena trasferito d’urgenza, per motivi ignoti, dal carcere di Parma a quello di Benevento. Sottoposto a regime di massima sicurezza, il 15 marzo Husain ha ricevuto la visita dell’onorevole Caruso, convinto che la sua condanna in contumacia sia ingiusta.

Il 29 marzo, secondo quanto risulta dai documenti visionati da ‘L’espresso’, Caruso ha versato in contanti alla Casa circondariale di Benevento la somma di 450 euro per Husain. Una cifra di per sé non certo elevata, ma che equivale sostanzialmente alle spese di sopravvitto che il palestinese sostiene mediamente nell’arco di cinque mesi. Husain intanto sta scrivendo un libro per difendersi e vorrebbe la riapertura del processo. Chissà che un giorno non possa restituire quei soldi al generoso Caruso.

Liberali per Israele

Roma: Scontri davanti alla Sapienza tra esponenti di Forza Nuova e collettivi antagonisti, sei arresti

Alemanno: «Imbecilli pericolosi da isolare»

Scontri davanti alla Sapienza, sei arresti

I disordini tra militanti di estrema destra e giovani di sinistra. Una foto potrebbe incastrare i responsabili

ROMA – Quattro giovani medicati al pronto soccorso. Sei persone fermate e poi arrestate. Un’auto distrutta. E poi accuse reciproche e polemiche politiche. È il bilancio degli scontri avvenuti all’esterno dell’Università “La Sapienza” di Roma tra militanti di estrema destra e giovani dei collettivi universitari. Un episodio legato alla revoca dell’autorizzazione a svolgere nella facoltà di Lettere un convegno sulle foibe organizzato da Forza Nuova. «È stata un’aggressione fascista» raccontano gli studenti dei collettivi di sinistra. La replica: «Gli aggressori siete voi». Per far luce sull’accaduto, il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha chiesto al rettore una «relazione». Ma a chiarire le responsabilità degli incidenti potrebbe contribuire una fotografia scattata al momento degli scontri.

FERITI – Dopo i disordini, quattro ragazzi sono stati medicati al Policlinico Umberto I di Roma e poi dimessi «con prognosi da 5 a 20 giorni». In seguito alla rissa uno di loro ha riportato la lesione della spalla, altri due ferite alla testa, uno è rimasto contuso.

ARRESTATI – Tra le sei persone arrestate, due fanno parte dei collettivi universitari di sinistra e sono Emiliano Marini e Giuseppe Mercuri. Gli altri quattro appartengono a movimenti di estrema destra: tra loro c’è anche Martin Avaro, esponente romano di Forza Nuova (tra i protagonisti del documentario “Nazirock”). Con lui è stato arrestato anche un altro militante di Fn, Andrea Fiorucci di 21 anni. Saranno processati mercoledì mattina nelle aule del Tribunale di Piazzale Clodio.

I COLLETTIVI – «È stata un’aggressione premeditata e a freddo, da parte di militanti e attivisti di Forza Nuova» raccontano gli studenti del coordinamento dei collettivi studenteschi. «Erano a volto scoperto, tutti ultraquarantenni, armati di spranghe e coltelli. Hanno aggredito una decina di studenti che attaccavano manifesti in cui si annunciava un’assemblea pubblica contro i nuovi fascismi». Uno degli studenti coinvolti racconta: «Avevano anche le mazze chiodate. Eravamo una decina, di cui 6 ragazze, e stavamo facendo attacchinaggio. Sono andati avanti per circa 15 minuti, senza che nessuno potesse intervenire. Noi abbiamo cercato di difenderci, ma sembravano delle bestie».

FORZA NUOVA – Dal canto suo, Roberto Fiore, segretario nazionale di Forza Nuova, rovescia le accuse: «Sono stati i militanti di Forza Nuova ad essere aggrediti dai giovani dei collettivi dell’Università La Sapienza, e non il contrario». Fiore afferma di avere ancora «notizie frammentarie», perché «non si capisce bene che è successo», ma spiega che «i dati oggettivi sono che dei giovani di Forza Nuova che stavano attaccando manifesti fuori l’Università sono stati aggrediti: infatti due di loro sono all’ospedale e una loro macchina è stata distrutta». «Dalla sinistra dopo l’arroganza culturale di voler negare un convegno sulle foibe dopo che loro ne avevano tenuto uno – conclude Fiore – arriva l’arroganza fisica, quella che vuole mantenere all’Università una presenza egemone».

LA FOTOGRAFIA – A fare chiarezza sull’accaduto, potrebbe contribuire una fotografia scattata da un cittadino di passaggio. Da una ricostruzione effettuata dalla Digos, sulla base anche di altre testimonianze, «è emerso che dopo una prima fase, nella quale i giovani di destra avrebbero apostrofato i ragazzi di sinistra che stavano attaccando dei manifesti, subito dopo si sarebbero avvicinati altri ragazzi provenienti dall’università», per poi scontrarsi fisicamente con gli elementi di destra. L’autovettura a bordo della quale viaggiavano i ragazzi di destra è stata pesantemente danneggiata. Questa ricostruzione è stata possibile proprio grazie alla fotografia che ritrae tutti gli arrestati nell’atto di affrontarsi anche con cinghie e bastoni.

LE REAZIONI – Il sindaco, Gianni Alemanno, ha condannato l’episodio: «Le violenze a Roma sono da condannare senza alcun attenuante. Ci sono in giro degli imbecilli pericolosi che vanno isolati. L’università La Sapienza non può essere luogo di scontro e di violenza politica». Per il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, «è quotidiana la conferma di un clima di intolleranza che in questa città sta assumendo caratteristiche inquietanti. L’aggressione all’Università La Sapienza è un fatto da condannare con fermezza, per allontanare lo spettro di un clima di cui non possiamo consentire il ritorno». E il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Mariastella Gelmini ha chiesto al rettore della Sapienza una «relazione» sui fatti accaduti nell’ateneo.

Corriere.it

Israele e il fronte della menzogna

Israele e il fronte della menzogna

Israele è sotto assedio intellettuale e morale, in Europa, nei giorni del suo sessantesimo compleanno. Minoranze faziose e rumorose contestano brutalmente il suo diritto alla festa, alla presenza come stato ospite, dunque come paese e come popolo, come identità nazionale, in manifestazioni culturali come le fiere del libro di Torino e di Parigi. C’è diritto al dissenso, sebbene il «boicottaggio» e il rogo delle bandiere siano livelli di rottura delle convenzioni polemiche, e di odio, duri da sopportare. Ma la questione vera è: che cosa significa questo dissenso?

Siamo sempre allo stesso punto, sebbene proprio questo punto sia futilmente, ipocritamente negato: è in discussione il diritto all’esistenza di uno stato ebraico in Medio Oriente. Alcuni tra gli odiatori di Israele negano che questa sia la posta in gioco e si rifugiano nella distinzione fra la critica della politica dei governi, legittima, e l’inimicizia verso lo stato. Altri, più duri ma più chiari e sinceri, stanno sulla scia di Tariq Ramadan, il controverso predicatore e agitatore islamista euro-occidentale che vuole uno stato senza radici ebraiche al posto di Israele, cioè la scomparsa del sionismo, del focolare nazionale degli ebrei.

Teoricamente Israele potrebbe voltarsi dall’altra parte e occuparsi della vera minaccia alla sua sicurezza, che è la minaccia nucleare dell’Iran di Mahmoud Ahmadinejad. A 60 anni quel paese benedetto, quella democrazia unica in quelle forme in Medio Oriente, quello stato-guarnigione uscito dalle tragedie del Novecento e da sogni plurisecolari gode per certi aspetti di buona salute, ha fatto immensi progressi. Nell’analisi del Financial Times, gli israeliani «hanno molte ragioni per guardare con soddisfazione alla loro storia e con fiducia al loro futuro». Il loro è un paese ricco, robusto, con una rete di alleanze solida, a partire da quella con il paese più potente del mondo, gli Stati Uniti; e hanno un esercito non invulnerabile ma che torreggia sui vicini, come d’altra parte primeggiano le loro tecnologie, il loro grado di felice integrazione di etnie, lingue ed esperienze diverse, la forza delle istituzioni e della cultura laica e religiosa. Ma Israele non si volta dall’altra parte, e ha ragione di non farlo, davanti alle provocazioni ideologiche delle élite e dei gruppi militanti antisionisti in Europa.

Quando Gianni Vattimo, un filosofo che ama scherzare con le proprie idee nichiliste, rivaluta i Protocolli degli anziani savi di Sion, cioè il clamoroso falso antisemita che l’Europa ha esportato in terra islamica e ora reimporta dopo nuovi nutrimenti e consolidamenti in lingua araba, il veleno della delegittimazione e dell’odio ricomincia a circolare e il disagio prenucleare di Israele, quello che conta come pericolo imminente e chiaro, si ripropone in tutta la sua portata. Gli ayatollah e Ahmadinejad hanno giocato la carta del negazionismo e dell’antigiudaismo in modo chiaro, hanno costruito ponti con la comunità intellettuale europea invitando i suoi studiosi antisemiti a convegni storici parodistici ma insidiosi, l’assedio di Israele stringe insieme un fronte molto più robusto e ampio di quanto non sembri, da Teheran a Torino, a Oxford, alla Rive gauche: il fronte della menzogna.

Israele può essere minacciato esistenzialmente perché non esiste nelle carte geografiche su cui studiano generazioni di arabi e di iraniani, e può essere messo in stato d’assedio perché la sua storia viene negata in Europa. Negata come vicenda umana fatta di emigrazione, di guerre contro il rifiuto arabo, di lotta per l’indipendenza sotto il mandato britannico. Negata come fatto e come diritto sancito dalle Nazioni Unite

Giuliano Ferrara

(Fonte: Panorama, 14 Maggio 2008 )

Stupidi sì, ma stupidi anonimi

Stupidi sì, ma stupidi anonimi

Bruciare bandiere israeliane è il metodo più veloce e sicuro per ottenere l’attenzione dei media, dichiara candidamente ai giornalisti uno degli autori del rogo dei giorni scorsi. Ci permettiamo di dissentire, ne esistono altri: spogliarsi nudi in piazza San Pietro durante un’udienza generale del Papa, sfregiare la Gioconda, sparare con un fucile sulla gente che passeggia. Ma siamo lì. Oltre a domandarci come cercare, sul lungo periodo, di mettere riparo a questa deformazione mediatica, per cui esisti solo se appari in televisione, potremmo intanto cominciare a spegnere le luci del palcoscenico e ad oscurare questi aspiranti protagonisti. Stupidi sì, ma stupidi anonimi.

Anna Foa

Liberali per Israele

Dario Fo segue il solito copione pro Palestina

Dario Fo segue il solito copione pro Palestina

Il premio Nobel mette da parte il suo libro «L ‘apocalisse rinviata» e attacca Israele. Usando una lettera di Nelson Mandela

di Caterina Soffici

Torino – Dario Fo l’affabulatore, l’istrione, il «giullare di corte dell’ultrasinistra», come lo defluiva Montanelli, il pacifista, quello a cui gli Usa hanno vietato il visto d’ingresso, il nuovo crociato ecologista, ha fatto lo show che tutti si aspettavano. Accompagnato dall’inseparabile Franca Rame, hanno dato in pasto al pubblico ciò che il pubblico voleva sentirsi dire.

Fo doveva presentare il suo ultimo libro L’apocalisse rinviata (fantaecologia, dove si immagina che cosa succederà quando il petrolio finirà), pubblicato da Guanda, e invece ha parlato dell’Apocalisse Perpetua della Palestina: «Mi ha infastidito il silenzio assordante sui palestinesi». Nell’incontro più atteso della giornata con gente in coda e molti rimasti fuori, usando toni mélto pacati, per la verità, senza le solite iperboli verbali, Fo ha criticato gli organizzatori della Fiera per l’invito a Israele. La parola «boicottaggio» non è mai stata pronunciata, ma aleggiava. Fo ha detto che non parteciperà oggi alla manifestazione organizzata dai gruppi antagonisti in favore della Palestina, ma solo per problemi di salute (deve andare in ospedale e poi in tv da Crozza).

Ma il messaggio è forte e chiaro: Primo: non si può dividere la cultura e la letteratura di un popolo dalla politica del suo paese: «Prendete Shakespeare, Molière, la storia della letteratura va sempre appresso alla politica, non si può far finta di dividerle». Secondo: a Torino si è persa un’occasione di pace, perché l’invito a Israele nell’anno della celebrazione dei 60 anni della fondazione dello Stato significa umiliare i palestinesi come popolo di serie B rispetto agli ebrei, di serie A. «Israele ha tutti i diritti di essere una nazione, ma anche i palestinesi hanno diritto di vivere, o almeno di sopravvivere». Terzo: Franca Rame ha letto una lettera di Nelson Mandela al giornalista israeliano Thomas Friedman, molto dura, dove si paragona l’apartheid del Sudafrica a quanto succede in Israele e nei territori occupati parlando di discriminazione razziale e pulizia etnica: «L’apartheid è un crimine contro l’umanità, i palestinesi non lottano perché vogliono uno Stato ma per liberare le loro terre occupate nel 1967. I sondaggi dicono che unteizo degli israeliani è razzista».

Il direttore editoriale della Fiera, Ernesto Ferrero, ha preso le difese della sua iniziativa e ha a sua volta spiegato. Primo: non è stato il governo israeliano a chiedere di essere invitato, ma l’idea è partita da alcune associazione italo-israeliane. Sono stati invitati non lo Stato d’Israele e i suoi politici, ma gli scrittori. Anche gli scrittori palestinesi erano invitati, ma hanno detto di no perché Israele era il Paese ospite d’onore. Secondo: non c’è alcun intento propagandistico o celebrativo, perché non c’è niente da festeggiare con una guerra in corso che chissà quanto durerà. Questi 60 anni di Israele sono una sconfitta per tutti. Terzo: abbiamo invitato gli scrttori israeliani e la loro letteraura, la meno governativa del mondo. L’anno prossimo i cosiddetti tre tenori (Yehoshua, Grossman e Oz) saranno presenti e stringeranno la mano ai palestinesi e l’ospite d’onore sarà l’Egitto perché la letteratura è un ponte tra le culture e i libri non hanno bandiere e noi agli scrittori non chiediamo il passaporto.

La spiegazione non convince però il premio Nobel. Che parla di bambini sparati, donne massacrate, dei campi profughi palestinesi oppressi dall’esercito più potente del mondo, snocciola e legge i dati: 3.112 morti, 1.365 case abbattute, 18.500 privi di casa… Dice Fo: «Le mie critiche sono legate a quello che si può fare di meglio. Però le proteste hanno creato una tensione positiva». Dalla platea un volontario di Emergency dice: «Provate a Immaginare che cosa sarebbe successo se si fosse scelto di ospitare a pari grado con gli israeliani letterati, poeti e scrittori palestinesi». Ferrero s’indispettisce: «Qui gli invitati sono tutti alla pari. Non esistono figli e figliastri. Facciamo finta che quest’anno era un numero zero, di prova, l’anno prossimo faremo meglio».

Alla fine tutti d’accordo con la fantasia evocata da Fo: «Due Paesi e due popoli con pari dignità e allo stesso livello». Quando nel 1997 gli assegnarono il Nobel per la Letteratura, la motivazione dell’Accademia di Svezia fu «perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi». Tutto come da copione.

(Fonte: Il Giornale, 10 Maggio 2008 )