Per i giornali arabi Obama è solo un’altra pedina di Israele

Obama nel mondo islamico

Per i giornali arabi Obama è solo un’altra pedina di Israele

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di Roberto Santoro e Kawkab Tawfik

7 Novembre 2008

La Lega Araba e l’ANP. Il presidente della Lega araba Amr Moussa e quello dell’ANP Abu Mazen sono stati i più cauti. Per avere la pace in Medio Oriente Obama dovrà risolvere il conflitto israelo-palestinese e condurre una politica diversa da quella “fallimentare” di George W. Bush. Moussa e Abu Mazen hanno utilizzato due argomenti classici: la palestinolatria, ovvero giudicare la questione palestinese come la soluzione di ogni problema del mondo musulmano, e la propaganda antiamericana, visto che Bush ha stremato (ma non azzerato) i regimi terroristi, le dittature religiose, le monarchie e le autocrazie islamiste.

Hamas ed Hezbollah. Il diplomatico Moussa in sostanza dice le stesse cose dei terroristi di Hamas. Secondo Fawzy Barhum, il portavoce del movimento che governa Gaza: “Obama deve imparare dagli errori di Bush inclusa la distruzione dell’Afghanistan, dell’Iraq, del Libano e della Palestina”. Come se Al Qaeda, i Talebani, Saddam Hussein e l’Hezbollah quei paesi li avessero ricostruiti. “Vogliamo che il presidente americano sostenga la causa palestinese o almeno che non appoggi l’occupazione israeliana”, ordinano i ducetti di Hamas.

Abdelbari Atwan scrive su Al Quds Al Arabi, uno dei principali giornali di Beirut. In un provocatorio editoriale intitolato “Obama’s Historic Intifada” spiega che “l’Islam sarà in grado di imporre il suo punto di vista al resto del mondo”. Durante la presidenza Bush, infatti, “l’America è stata controllata dai sionisti che hanno come obiettivo la distruzione del mondo arabo”. Qualcuno informi Atwan che Obama ha scelto come capo del gabinetto presidenziale Rahm Emanuel, un ebreo-americano figlio di militanti dell’Irgun. Anche Al Jazeera fa il punto sulla nuova squadra spiegando che “Emmanuel è un politico figlio della strada come Obama”. Vengono riportate le affermazioni del presidente al giornale israeliano Maariv: “La nomina di Emmanuel sarà un bene per Israele… è chiaro che il presidente sarà a favore di Israele, perché no? E’ forse un arabo?”.

L’Iran e la Siria salutano il ritorno degli Usa alla democrazia. Per l’agenzia iraniana “Irna” l’elezione di Obama è stata “una catarsi nazionale”. I governi liberali di Teheran e Damasco si riconoscono nell’uomo che “ha spazzato via le ultime barriere razziali nella politica americana, una svolta che sarebbe sembrata impensabile solo due anni fa”. Proprio come fanno i presidenti Ahmadinejad e Assad con le loro minoranze religiose e i dissidenti. “Obama deve distanziarsi dagli approcci sbagliati di Bush perché così vuole il popolo americano – chiede il ministro degli esteri iraniano Mottaki – l’elezione del presidente mostra la richiesta di cambiamenti essenziali nelle politiche interna ed estera”. Ma quanto sono alti i pulpiti degli ayatollah…

I toni cambiano se leggiamo i quotidiani di Teheran. Per l’Iranian Daily: “L’uomo nero non cambierà la politica americana”. In un editoriale del Jomhouri-ye Eslami leggiamo che “La cosa migliore che potrà fare l’uomo nero alla Casa Bianca è di sostituire parte dello staff e cambiare alcune procedure cerimoniali”. Non si occuperà di modificare “la struttura del regime americano che è egemonizzato dai capitalisti, dai sionisti e dai razzisti”. La stampa svela che democratici e repubblicani sono parte della stessa “oppressione americana”. Il ministro dell’informazione di Damasco, Bilal, auspica che “la vittoria di Obama consentirà di passare da una politica di guerra e embargo a una politica di diplomazia e dialogo” ma per il quotidiano siriano Al Watan “Obama non sarà molto meglio di Bush o forse peggio”. Questa contraddizione tra le dichiarazioni di principio dei leader e l’antisemitismo della stampa emerge con evidenza nelle vignette dei maggiori giornali arabi.

Afghanistan e Pakistan. Lo speaker talebano Qari Mohammad Yousuf: “non abbiamo particolari aspettative ma se Obama manderà altre truppe in Afghanistan il nostro Jihad continuerà”. E il presidente Karzai: “La mia prima richiesta è che gli americani mettano fine alle uccisioni dei civili”. Che bel modo di ringraziare gli amici. L’ambasciatore pakistano a Washington: “Il presidente Zardari ha espresso la speranza che le relazioni Pakistan-Usa si intensifichino sotto la nuova leadership americana”. Ma le vignette sui quotidiani di Islamabad mostrano un Obama dalla bocca spalancata che vomita missili e bombe sul Pakistan.

Egitto, Arabia Saudita e Golfo Persico. Al Ahali, il portale del Partito Nazionale Democratico egiziano (quello del presidente Mubarak) non ha dedicato neppure un titolo alla vittoria di Obama. Il Saudi Daily invece rincara la dose: “Non ci sono differenze significative tra Obama e McCain. Erano in disaccordo solo sui modi per raggiungere gli obiettivi americani che saranno perseguiti per altri cento anni”. Questi sarebbero gli alleati più fedeli degli Stati Uniti nel mondo arabo. L’editorialista saudita Dawood al-Shirian scrive che con Bush e i neoconservatori “hanno rinnegato se stessi e il sogno americano”. Che riconoscenza per l’amministrazione che ha salvato il culo dei principi sauditi dal golpe di Bin Laden.

L’Occidentale

La vera pulizia etnica perpetrata in Medio Oriente

La vera pulizia etnica perpetrata in Medio Oriente

Da un articolo di Ashley Perry

Probabilmente Israele è il meno efficiente artefice di “pulizia etnica” della storia dell’umanità, nonostante quel che dice la propaganda avversaria.

Nel 1947 vivevano nella Palestina sotto Mandato Britannico circa 740.000 arabi palestinesi. Oggi gli arabi che vivono in Cisgiordania e striscia di Gaza più gli arabi che sono cittadini israeliani ammontano a più di cinque milioni (in tutto, nel mondo,sono più di nove milioni le persone che si definiscono palestinesi). Da un semplice calcolo emerge che il tasso di crescita della popolazione palestinese è stato quasi il doppio di quello in Africa e in Asia in un analogo lasso di tempo.

Il croato Drazen Petrovic definiva la “pulizia etnica” come “una ben precisa politica di un particolare gruppo di persone intesa ad eliminare sistematicamente la presenza di un altro gruppo da un dato territorio”. Sulla base di questa definizione, il lungo conflitto arabo-israeliano ha visto la realizzazione di una sola, vera pulizia etnica: quella degli ebrei che vivevano da secoli in Asia e nord Africa. Mentre, prima del 1948, c’erano quasi 900.000 ebrei che vivevano in terre a maggioranza araba, nel 2001 ne rimanevano non più di 6.500.

Coloro che sostengono che Israele avrebbe perpetrato una pulizia etnica a danno degli arabi non sono in grado di citare una sola ordinanza o disposizione in questo senso. La pulizia etnica degli ebrei dalle terre arabe, invece, fu una politica ufficiale di stato. Gli ebrei vennero ufficialmente espulsi da molte regioni del mondo arabo. La Lega Araba diffuse una dichiarazione con cui raccomandava ai governi arabi di promuovere l’uscita degli ebrei dai paesi arabi, risoluzione che venne attuata attraverso tutta una serie di misure punitive e di ordinanze discriminatorie che resero impossibile la permanenza degli ebrei nelle terre dove erano nati.

Il 16 maggio 1948 il New York Times registrava una serie di misure prese dalla Lega Araba allo scopo di emarginare e perseguitare gli ebrei cittadini degli stati membri. Riportava fra l’altro il testo di una legge “redatta dal Comitato politico della Lega Araba”, volta a governare lo status legale degli abitanti ebrei nei paesi della Lega Araba. Essa disponeva che, a partire da una data specifica, tutti gli ebrei – ad eccezione di quelli che non fossero cittadini di un paese arabo – venissero considerati “membri della minoranza ebraica di Palestina”. I loro conti bancari sarebbero stati congelati e usati per finanziare la resistenza contro “i piani sionisti in Palestina”. Gli ebrei ritenuti sionisti attivi sarebbero stati internati e i loro beni confiscati.

Nel 1951 il governo iracheno approvò una legge che rendeva reato l’affiliazione al sionismo e ordinava “l’espulsione degli ebrei che si rifiutano di firmare una dichiarazione contro il sionismo”. Il che contribuì a spingere fuori decine di migliaia di ebrei che vivevano in Iraq, mentre la gran parte delle loro proprietà veniva confiscata dallo stato.

Nel 1967 molti ebrei egiziani vennero internati e torturati, le case ebraiche confiscate. Quello stesso anno in Libia il governo “sollecitava gli ebrei a lasciare temporaneamente il paese” permettendo a ciascuno di loro di portare con sé una sola valigia e l’equivalente di 50 dollari.

Nel 1970 il governo libico promulgò nuove leggi per la confisca di tutti i beni degli ebrei libici, emettendo al loro posto obbligazioni con scadenza a 15 anni. Ma quando i buoni maturarono, non venne pagato nessun rimborso. Il leader libico Muammar Gheddafi si giustificò dicendo che “lo schierarsi degli ebrei con Israele, nemico delle nazioni arabe, li priva del diritto al rimborso”.

Non sono che pochi esempi di ciò che divenne una politica comune un po’ in tutto il mondo arabo, per non menzionare i pogrom e le aggressioni contro ebrei ed istituzioni ebraiche che giocarono un ruolo decisivo nell’esodo degli ebrei da quei paesi.

Anche le sofferenze sul piano economico delle due popolazioni di profughi (ebrei dai paesi arabi e arabi di Palestina) non furono eguali. Secondo una ricerca pubblicata di recente – “The Palestinian Refugee Issue: Rhetoric vs. Reality” dell’economista Sidney Zabludoff, già consigliere della Cia, della Casa Bianca e del Tesoro americano (in Jewish Political Studies Review, aprile 2008 ) – il valore dei beni perduti dalle due popolazioni di profughi è straordinariamente diseguale. Utilizzando i dati di John Measham Berncastle, che nei primi anni ’50, sotto l’egida dell’allora appena costituita Commissione Onu per la Conciliazione in Palestina (UNCCP), si assunse il compito di stimare i beni dei profughi palestinesi, Zabludoff calcola che quei beni ammontavano a 3,9 miliardi di dollari in valuta attuale. I profughi ebrei, essendo maggiori di numero e più urbanizzati, erano proprietari di un patrimonio complessivo pari almeno al doppio di quella cifra.

Inoltre bisogna tener conto del fatto che Israele, nel corso degli anni ’50, ha restituito più del 90% di conti bancari bloccati, cassette di sicurezza e altri beni appartenenti a profughi palestinesi, il che diminuisce in modo significativo la somma calcolata dalla UNCCP.

Questi fatti vengono accortamente dimenticati e non pubblicizzati, permettendo a denigratori di Israele come il professor Ilan Pappe (prima all’Università di Haifa, ora in quella di Exeter) di non menzionare neanche di sfuggita la vera, grande pulizia etnica perpetrata in Medio Oriente.

Di recente, però, alcuni eventi stanno gettando nuova luce sulla percezione di questa storia che ha la comunità internazionale. Lo scorso primo aprile il Congresso degli Stati Uniti ha adottato la risoluzione 185 che per la prima volta riconosce il caso dei profughi ebrei dai paesi arabi, ed esorta il presidente e gli altri rappresentanti americani che prendono parte a colloqui in Medio Oriente ad assicurarsi che ogni riferimento ai profughi palestinese “sia accompagnato da un analogo, esplicito riferimento alla soluzione della questione dei profughi ebrei dai paesi arabi”.

Altrettanto importante, il 24 giugno ha avuto luogo alla Camera dei Lord la prima audizione mai avvenuta nel parlamento britannico sul tema dei profughi ebrei dai paesi arabi, convocata dal parlamentare laburista John Mann e da Lord Anderson di Swansea, e organizzata dall’associazione Justice for Jews from Arab Countries (JJAC) insieme al Board of Deputies of British Jews.

Una maggiore conoscenza della questione dei profughi e della pulizia etnica degli ebrei dal mondo arabo in generale offrirà una conoscenza più chiara e completa della storia della regione a un gran numero di persone. Non si può affermare che un popolo ha subito una “pulizia etnica” da una zona in cui è aumentato di numero a un tasso doppio di quello dei suoi vicini geografici. Viceversa, un popolo che ha visto ridotto il suo numero in una certa zona di 150 volte nel corso di pochi decenni può sostenere a buon diritto di aver subito una pulizia etnica.

(Da: Jerusalem Post, 24.07.08 )

Nella foto in alto: Il New York Times del 16 maggio 1948

Chi ricorda i profughi ebrei dai paesi arabi?

Gli altri profughi del conflitto arabo-israeliano

Israele.net

Frattini: “Accerchiamento di Israele problema serio”

M.O./ FRATTINI: “ACCERCHIAMENTO” DI ISRAELE PROBLEMA SERIO

“Non vogliamo ingerenza così tangibile di Teheran nella regione”

Lima (Perù), 15 mag. (Apcom) – Il governo Berlusconi IV ha “in agenda il problema posto dagli israeliani, che si sentono circondati dall’Iran, da nord attraverso l’Hezbollah libanese e da sud con Hamas”. Lo sottolinea il ministro degli Esteri Franco Frattini, conversando con i giornalisti che lo seguono a Lima per il vertice America Latina-Ue. “Il tema dell’accerchiamento posto dagli israeliani lo considero molto serio” insiste Frattini.

“E proprio perché questo governo avrà grandissima attenzione e amicizia verso Israele, questo ‘sentimento dell’accerchiamento’ noi ce l’abbiamo in agenda e non alziamo le spalle – prosegue – Noi vogliamo dire con grande chiarezza che non vogliamo un impegno e un’ingerenza così tangibile dell’Iran nello scenario mediorientale”.

E’ del resto opinione del capo della diplomazia che “di fronte alle prese di posizione dei governi arabi, con i governi europei che guardano con sempre maggiore attenzione alle preoccupazioni del governo israeliano, non c’è interesse da parte dell’Iran ad aggravare la situazione”. Anzi, il regime degli ayatollah potrebbe persino svolgere un ruolo da “facilitatore”.

Entrando più nello specifico, il giudizio di Frattini su Hamas non cambia: “Anche se il movimento palestinese siede in parlamento, ha mantenuto nel suo statuto la necessità di distruggere Israele e non ha rinunciato alla violenza, ed è quindi ancora giustamente iscritto nella lista Ue delle organizzazioni terroristiche”. Quando all’Hezbollah, “persino gli Stati Uniti si rendono ormai conto” della necessità di coinvolgere “tutte le parti in contrasto” per arrivare alla stabilità politica in Libano.

“La maggioranza degli europei applica ancora una distinzione fra l’ala politica e quella militare” del ‘partito di Dio’, che quindi non è considerato un gruppo terroristico. In una conferenza telefonica di qualche sera fa del gruppo ‘Friends of Lebanon’, di cui fanno parte sia l’Italia che gli Usa, Frattini racconta che persino il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha “preso atto delle necessità della Lega Araba” di coinvolgere l’Hezbollah nelle trattative per superare la crisi istituzionale, rinunciando a una dichiarazione di ferma condanna nei confronti delle recenti azioni militari delle milizie sciite filo-iraniane.

Il ministro degli Esteri giudica infine positivamente i “toni di grande attenzione verso gli amici palestinesi” usati in questi giorni dal presidente israeliano Shimon Peres, che sono “toni di grande fermezza di fronte al rischio della proliferazione nucleare iraniana”. Questa sarà la linea anche nel caso di un cambio ai vertici dello Stato ebraico: “La pensano così anche la mia collega Livni, Olmert e Barak” assicura Frattini.

Lega Araba: Israele “Criminale di Guerra”

MO: GAZA; LEGA ARABA, ISRAELE “CRIMINALE DI GUERRA”

(ANSA) – 18:38 – IL CAIRO, 5 MAR – I ministri degli Esteri della Lega Araba riuniti oggi al Cairo hanno condannato gli attacchi di Israele contro la Striscia di Gaza come “crimini contro l’umanità”.

In un incontro per preparare il vertice di fine marzo in Siria, i ministri dei 22 Paesi membri della Lega Araba hanno denunciato in una dichiarazione i “crimini di guerra e contro l’umanità” commessi dalle forze israeliane a Gaza e sugli altri territori palestinesi.

Almeno 120 palestinesi, la metà civili, sono morti in cinque giorni di incursioni israeliane a Gaza.

In una dichiarazione finale della riunione, i ministri hanno ribadito la richiesta del rispetto delle istituzioni legittime palestinesi, cioé l’Autorità nazionale presieduta da Abu Mazen (Mahmud Abbas), e il ritorno della situazione a Gaza precedente la presa del potere del movimento islamico di Hamas.

I ministri esortano anche gli Stati Uniti e la comunità internazionale a fare pressioni su Israele perché rilanci il processo di pace e fissi un calendario preciso dei negoziati israelo-palestinesi.

Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha detto oggi che Israeliani e palestinesi hanno deciso di riprendere i negoziati, sospesi da Abu Mazen dopo le incursioni a Gaza, senza tuttavia indicare date.

Fonti palestinesi a Ramallah, in Cisgiordania, hanno detto che i colloqui potrebbero ricominciare dalla prossima settimana.

Tzipi Livni: “Israele non parteciperà al vertice ONU di Durban 2 sul razzismo se si trasformerà in una piattaforma di propagana antisemita e anti israeliana come nel 2001”

25/02/2008 Il ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni ha annunciato domenica che Israele non parteciperà al vertice Onu Durban 2 sul razzismo se si trasformerà in una piattaforma di propaganda antisemita e anti israeliana come il primo vertice a Durban nel 2001. “La partecipazione a tali vertici legittima l’odio, l’estremismo e l’antisemitismo – ha spiegato la Livni – e Israele non intende incoraggiare tali comportamenti”.

Israele.net

Durban 2001: per rinfrescarci la memoria….

Durban 2001: per rinfrescarci la memoria….

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Materiale fatto girare da alcune ONG alla Conferenza sul Razzismo tenutasi a Durban nel Settembre 2001

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Materiale fatto girare da alcune ONG alla Conferenza sul Razzismo tenutasi a Durban nel Settembre 2001

3-09-2001 Durban (Sudafrica)- La delegazione israeliana e quella USA abbandonano per protesta la conferenza sul razzismo organizzata dall’ONU perché ritengono “..la dichiarazione finale del summit offensiva per lo Stato Ebraico..”; oggetto della polemica il testo finale della conferenza nel quale, pur non nominando Israele, lo si accusa di razzismo e di applicare l’apartheid contro i palestinesi.

Il testo era stato proposto dalla maggioranza delle delegazioni ufficiali degli Stati arabi; la dichiarazione più controversa, che equiparava sionismo e apartheid era già stata eliminata dalla bozza di dichiarazione proprio in seguito alle proteste di USA e Israele.

Tra i passaggi contestati e poi non approvati nella dichiarazione finale segnaliamo i seguenti:

– “ Non devono mai essere dimenticati l’olocausto e la pulizia etnica perpetrata ai danni della popolazione araba e palestinese nelle terre storiche della Palestina, nella Bosnia e in Kosovo”

– “ L’occupazione straniera fondata sulle colonie di popolamento, con le sue leggi discriminatorie finalizzate al mantenimento di questo dominio sui territori occupati attraverso un blocco militare totale, sono in contraddizione con i principi della Carta Onu e costituiscono una nuova forma di di apartheid, un crimine contro 1’umanit, una violazione grave del diritto internazionale umanitario, oltre che una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale”

– “Esprimiamo una profonda inquietudine di fronte alla discriminazione razziale che i palestinesi subiscono nei territori arabi occupati e che ha gravi incidenze su molti aspetti della loro vita quotidiana. Chiediamo che sia stabilito un termine alle pratiche razziste cui sono sottoposti i palestinesi e gli altri abitanti dei territori arabi occupati da Israele”

– “La conferenza mondiale constata con inquietudine l’aumento delle pratiche razziste del sionismo e dell’antisemitismo in parecchie regioni del mondo, e la diffusione di modi di pensare di movimenti discriminatori come il sionismo fondato sulla superiorità razziale”
(Il Tempo 4-09-2001, pag. 10; giornalista: Nicol Degli Innocenti)
(Il Tempo 5-09-2001, pag. 10; giornalista: Andrea di Leo)
(Repubblica 4-09-200 1, Prima pagina e pagg. 2,3; giornalista: Stefania di Lellis)

Ricordiamo che il Segretario Generale dell’ Onu Kofi Annan aveva aperto la conferenza affermando che : “L’Olocausto è stato il massimo abominio, ma non può giustificare le persecuzioni dei palestinesi”.

La decisione di lasciare la conferenza sarebbe stata presa dagli USA, mentre Israele era probabilmente più propenso a restare e continuare nell’opera di convincimento delle Ong (Organizzazioni Non Governative), che iniziava a dare i suoi frutti: infatti numerosi coordinamenti di Ong internazionali si sono infatti dissociate dalla dichiarazione finale con cui il Forum delle Ong aveva duramente attaccato Israele; la pubblicazione del testo è stata di nuovo rinviata e c’è un sempre maggior numero di associazioni che ne contestano la legittimità.

Le Ong ebraiche (come il “Simon Wiesenthal Center” per esempio) hanno deciso di ribattere all’offensiva mediatica condotta dai palestinesi a Durban convocando in Sudafrica numerosi parenti di vittime dell’antisemitismo e del “terrore arabo” che hanno parlato in una conferenza stampa la mattina del 4-9-2001. In seguito anche le Ong ebraiche hanno lasciato la conferenza.
(Repubblica 4-09-200 1, pag. 2; giornalista: Stefania di Lellis)

In una intervista concessa al quotidiano “Repubblica” il direttore degli affari internazionali del “Simon Wiesenthal Center” Shimon T. Samuels ha affermato di essere scioccato per quello che sta avvenendo a Durban.”Vengono distribuite copie del Protocolli dei Savi di Sion”, “gli Ebrei vengono aggrediti fisicamente”“Buttati fuori dalle riunioni a cui avrebbero tutto il diritto di partecipare”, a testimonianza dell’atmosfera antisemita che si respirava a Durban.
(Repubblica 4-09-2001, pag. 2; giornalista: Stefania di Lellis)

5-09-2001 Durban — Anche 1’UE minaccia di abbandonare la conferenza sul razzismo. Il primo ministro francese Jospin ha annunciato che l’Unione Europea era pronta a lasciare la conferenza se sul documento finale non fosse stata eliminata l’equiparazione del sionismo al razzismo.
(Il Tempo 6-09-2001, pag.10; giornalista. Nicol Degli Innocenti)

6-09-2001 Durban — Respinto dai paesi islamici il tentativo di compromesso sul testo della dichiarazione finale proposto dal Sudafrica dietro spinta dell’Unione Europea, dichiarando che il testo proposto non è accettabile perché non riflette la gravità della situazione dei palestinesi.

Il testo rivisto e corretto, secondo le richieste dell’UE, non accusa Israele di essere uno stato razzista, ma esprime preoccupazione per le sofferenze dei palestinesi sotto occupazione straniera e ribadisce il loro ‘diritto inalienabile” all’autodeterminazione e a uno stato indipendente. Il testo — che dice che l”Olocausto non deve essere mai dimenticato” — riconosce anche il diritto alla sicurezza per tutti i paesi della zona, Israele compresa, condanna il razzismo e la discriminazione contro le comunità ebree, musulmane e arabe e lancia un appello per una pace duratura in Medio Oriente, ma è stato rifiutato dai paesi islamici e dalla Lega Araba in particolare. (Probabilmente perché troppo interessato agli Ebrei e ad Israele ndr)
(Il Tempo 7-09-2001, pag. 9; giornalista: Nicol Degli Innocenti)

8-09-2001 Durban — Conclusa con un accordo in extremis la Conferenza ONU sul razzismo: ‘La tratta degli schiavi un crimine contro l’umanità”. Il compromesso di Durban delude gli Arabi. No ai risarcimenti per lo schiavismo. Paesi islamici furiosi per il mancato accenno a Israele. La risoluzione contiene le scuse solenni dei Paesi che hanno organizzato la tratta degli schiavi, la cui pratica viene definita un crimine contro l’umanità. Poi ammonisce a non dimenticare l’Olocausto. Vengono sottolineate le sofferenze del popoio palestinese. Israele e il sionismo non vengono mai citati ma si guarda con grande preoccupazione al crescere dell’antisemitismo, islamofobia e arabofobia. La sezione del testo che riguardante il Medio Oriente non ha soddisfatto gli arabi, che avrebbero voluto l’inserimento di tre paragrafi di carattere generale che non citano i palestinesì ma che sicuramente avrebbero giovato alla loro causa. Ma ha provocato spaccature anche in seno agli occidentali. Il Canada si è detto contrario al paragrafo che riconosce ai rifugiati palestinesi il diritto di entrare liberamente nelle loro case, e ha fatto mettere a verbale una dura dichiarazione: “C‘è stato il tentativo di disonorare le sofferenze e la storia del popolo ebraico, e c‘è stata una intromissione irresponsabile nelle questioni di uno dei conflitti più complessi della storia contemporanea” ha detto il rappresentante canadese tra i fischi. Il blocco islamico, siriani e pachistani in testa, ha fatto quadrato sollevando eccezioni procedurali e riuscendo così a bloccare una mozione che nei fatti chiedeva di adottare il testo senza i tre paragrafi cari ai palestinesi; alla fine il testo è stato approvato senza votazione generale, con il dissenso palese degli arabi. Da segnalare che nel testo originale (in inglese quindi) è scritta l’espressione “palestinian plight” che lascia molti dubbi: può voler dire infatti tragedia, crisi, dramma, sofferenza ma anche solo situazione spiacevole, triste: è una espressione diplomatica volutamente ambigua. Tra le varie reazioni segnaliamo quella della Siria che ha dichiarato: “Non dobbiamo dimenticare le pratiche razziste che vengono compiute nei territori occupati palestinesi”.
(Corriere della Sera 9-09-2001; giornalista: Massimo Alberizzi)
(Messaggero 9-09-2001; giornalista: Alessandro Di Lellis)

La Carta Araba dei Diritti dell’Uomo propugna l’eliminazione di Israele

La Carta Araba dei Diritti dell’Uomo propugna l’eliminazione di Israele

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In una lettera diffusa lunedì, l’organizzazione UN Watch sollecita l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani a chiarire la sua recente presa di posizione a sostegno della Carta Araba dei Diritti Umani, un documento che contiene “diverse clausole che promuovono temi classicamente antisemiti”.

UN Watch, ente che ha lo scopo di monitorare il rispetto dei principi della Carta dell’Onu da parte dell’Onu stessa, punta il dito su diverse frasi della Carta Araba, come ad esempio quella dove dice di “respingere tutte le forme di razzismo e di sionismo, che costituiscono una violazione dei diritti umani e una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”, o dove si dice che “tutte le forme di razzismo, sionismo, occupazione e dominazione straniera costituiscono una lesione della dignità umana” e che “tutte queste pratiche devono essere condannate e si deve fare ogni sforzo per la loro eliminazione”.

La Carta Araba dei Diritti Umani dovrebbe servire come base per i principi di libertà a cui dovranno attenersi le nazioni arabe, ed è volta a garantire i diritti civili, culturali, economici, politici e sociali dei popoli di queste nazioni.

La Lega Araba adottò inizialmente la Carta nel 1994. Dopo di allora, il documento subì vari cambiamenti, ma finora non era entrato in vigore perché mai ratificato dal numero minimo di sette stati membri della Lega Araba. All’inizio di questo mese, però, gli Emirati Arabi Uniti sono diventati il settimo paese che l’ha ratificata, dopo Giordania, Bahrain, Algeria, Siria, Libia e Autorità Palestinese.

Lo scorso 24 gennaio Louise Arbour, attuale Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, ha espresso soddisfazione per la ratifica, che farà entrare in vigore la Carta Araba, dicendo che si tratta di “un importante passo in avanti” per l’affermazione dei diritti umani nel mondo arabo. “L’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani – ha dichiarato la Arbour – è impegnato verso gli stati sottoscrittori della Carta ed è pronto a sostenerli nel garantire che i fondamentali valori dei diritti umani vengano rispettati”.

“Il sionismo – spiega UN Watch nella lettera – è il movimento di auto-determinazione nazionale del popolo ebraico e asserisce il diritto, intrinseco ed internazionalmente riconosciuto, di Israele ad esistere. Un testo che equipara il sionismo al razzismo, che lo descrive come una minaccia alla pace mondiale e come un nemico dei diritti umani e della dignità umana, e che invita ad adoperarsi per la sua eliminazione è un testo manifestamente antisemita. Quand’anche la Carta Araba contenesse disposizioni positive – conclude la lettera – nulla può giustificare il sostegno dato a un testo che contiene parole così cariche di odio”.

(Da: Jerusalem Post, 29.01.08)

Nella foto in alto: Louise Arbour, attuale Alto Commissario Onu per i Diritti Umani

Un dozzina di parole cruciali

Israele.net

Libano: nessun accordo sul presidente, situazione in caduta libera

Libano: nessun accordo sul presidente, situazione in caduta libera

Scritto da Miriam Bolaffi

domenica 13 gennaio 2008

Non è servito nemmeno l’interessamento del segretario generale della Lega Araba, Amr Musa, in Libano si continua a non trovare un accordo sul nome del presidente e la situazione sta lentamente ma inesorabilmente deteriorandosi.

La Lega Araba ha presentato un piano fondato principalmente su due punti: elezione del presidente nella persona del generale Suleiman e formazione di un governo di unità nazionale. Se sul primo punto le divergenze sembrano superabili ma sul secondo le posizioni della maggioranza anti-siriana e dell’opposizione guidata da Hezbollah non sembrano proprio avvicinarsi.

Ieri il Parlamento avrebbe dovuto eleggere Suleiman ma proprio le differenti vedute sulla composizione di un Governo di unità nazionale hanno costretto il presidente dell’assemblea e leader sciita d’opposizione, Nabih Berri, a rinviare la sessione al 21 gennaio, per la dodicesima volta dal 25 settembre scorso.

Purtroppo più si prosegue su questa strada più la situazione libanese si fa complicata. Di fatto la mancanza di un presidente e la conseguente ingovernabilità del paese favoriscono Hezbollah e le sue attività. Proprio nei giorni scorsi alcuni missili katiuscia sono stati lanciati dal sud del Libano verso Israele, un fatto isolato certo ma che non succedeva più dalla fine della guerra e quindi di una certa gravità.

Ancora più grave è il fatto che questo lancio sia avvenuto da un territorio che “teoricamente” dovrebbe essere sotto il controllo di Unifil 2, il che starebbe a dimostrare quello che gli israeliani stanno dicendo da tempo, cioè che il sud del Libano non è affatto sotto ferreo controllo delle forze Onu.

Il mese scorso l’Iran aveva richiamato Hezbollah all’ordine estromettendo per alcune ore il leader storico del movimento islamico, Hassan Nasrallah, dal comando militare di Hezbollah per poi tornare sui suoi passi una volta che il messaggio era stato recepito. Hezbollah deve, secondo Teheran, mantenere alta la tensione in Libano e lungo i confini con Israele, questo per garantire un ulteriore fronte aperto e sempre pronto ad esplodere.

I fatti che stanno accadendo in Libano in queste ultime settimane dimostrano che il volere dei Mullah viene pienamente rispettato: nessun presidente eletto per mantenere la tensione politica ai massimi livelli e grandi manovre nella zona meridionale, alcune anche a sud del fiume Litani, teoricamente interdetto a Hezbollah. Se la Lega Araba sposta il suo Segretario Generale, che tornerà a Beirut giovedì prossimo, significa che ha la percezione che la situazione stia precipitando. Attenzione quindi, l’occidente guarda al Libano con occhio distratto ma la tensione è molto alta e, ricordo, abbiamo oltre 2.500 militari da quelle parti. Non vorrei che a forza di guardare altrove ci si trovasse, senza accorgersene, nel bel mezzo di una guerra civile.

Miriam Bolaffi

Secondoprotocollo.org